Sanremo, il televoto e l'evoluzione dei ragazzi dei talent

Marco Mengoni con Bianca balti (foto Fabio Ferrari - LaPresse)
Marco Mengoni con Bianca balti (foto Fabio Ferrari - LaPresse)
Domenica 17 Febbraio 2013, 01:17 - Ultimo agg. 02:06
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SANREMO - Da che iniziato questo 63esimo Festival, ci si chiedeva increduli: ma che successo a Sanremo? E’ lo specchio di un paese modernizzato e redento? Standing ovation per un anonimo artista, mezzo punk, con taglio mohicano che canta con voce di donna (il bravo Asaf Avidan). E tanto di bis invocato.



Calore mostrato a un presenter (Marco Alemanno) che fieramente, su Rai Uno, si esplicita compagno non solo artistico di Lucio Dalla. Un transgender dal timbro celestiale (Antony Hegarty) che si materializza sul palco a un’ora decente, senza essere rinviato dopo la mezzanotte, quando le zucche a casa spariscono. La coppia gay che fa, in prima serata, una performance di rara delicatezza per chiedere diritti e annuncia il matrimonio a New York, riscuotendo applausi in sala.



La Littizzetto che non manca di ribadire il concetto ad ogni occasione, lo allarga ai diritti delle donne e, per San Valentino, si cimenta in un monologo sull’amore che per la quasi totalità riesce a non essere retorico (impresa delle imprese). E ancora: i voti della sala stampa che nella fase di selezioni delle due canzoni di ogni artista, per ben sei volte su sette, hanno coinciso col gusto del pubblico televotante (in genere si collocano agli antipodi). Col risultato che, talvolta, sono passati i brani meno facili, ad esempio La prima volta che sono morto al posto di Mi manchi di Cristicchi o A bocca chiusa invece di Il bisogno di te di Daniele Silvestri. E ancora, l’Ariston ha ospitato le bellezze di Verdi e Chopin, Bollani e Veloso.



Tutto questo rischio e, invece della punizione dell’auditel, è arrivato il miracolo degli ascolti boom. Allora, è venuto il felice sospetto: che sia vero che il pubblico, se nutrito di qualità, sa digerire le cose belle? Che addirittura si riprenda l’eccezione del 2011 - quando Vecchioni vinse su Emma-Modà e Al Bano - per farla diventare regola?



Finché ieri non è giunta la notizia della classifica provvisoria creata dal televoto. Nell’ordine: Mengoni, Modà, Anna Lisa, Chiara. Il risveglio dal sogno, l’eterno ritorno. Piovono talent o simili, altro che meteoriti. Pensavamo fosse un problema di proposta (sempre e solo quella) invece, ora che c’era buona e ampia scelta nel cast faziano, ci si accorge che è un problema di risposta (nonostante le opzioni, sempre la stessa). Il paese reale dunque coincide con quello virtuale e digitale. Dei tweet, dei clic, delle app, delle i trattino qualcosa attaccato. Vogliono loro, comprano loro. E’ ora di farsene una ragione e di rispettare l’orecchio popolare.



E’ anche tempo di sdoganamento, perché, nel frattempo, c’è da dirlo, i ragazzi dei talent si stanno evolvendo, come mutanti. Si fanno aiutare dalle grandi firme (che, viste le vendite, non li snobbano più), provano a distaccarsi dai programmi televisivi che li hanno plasmati, si impegnano a crescere e a trovare una strada: vedi Mengoni, che con l’Essenziale rinuncia alle piroette vocali per ricercare l’interpretazione (da Re Matto a qui c’è un evidente miglioramento), Anna Lisa che sposa un fresco swing al posto della classica ballata, Chiara che opta per un tanghetto d’autore. I Modà costituiscono un caso a parte. Senza talent alle spalle, hanno truppe tenacissime di fan, ammaliati dalla loro epicità e dai testi strappacuore di Kekko Silvestre.



La giuria di qualità ha stravolto il risultato. Nella finale contava al 50%, aveva la missione di bilanciare il voto impetuoso dei gggiovani o della volontà popolare. Sola, contro i quattro invasori dell’ultrapop, si è allora concentrata a salvare gli Elio e le Storie Tese (che erano stati affondati da casa, finiti ottavi nella classifica provvisoria del televoto). Così sono finiti sul podio, secondi, e hanno incassato anche il Premio della critica Mia Martini e il premio per il miglior arrangiamento. Un tripudio per loro che hanno tenuto un crescendo geniale in questo festival, dalle fronti altissime agli strumenti piccolissimi ai tenori obesissimi, con la Canzone Mononota che non è mai monotona. Sempre più stupidi, divertenti, musicalmente ineccepibili.



Niente da fare per il Daniele Silvestri di A bocca chiusa, bravo, intenso, vero come al solito, splendidamente disinteressato alla gara. O per il Raphael Gualazzi di Sai, su cui molti avevano riversato speranze di vittoria. Bisogna accontentarsi di averli avuti nel cast, con Max Gazzé, Malika Ayane, Marta Sui Tubi. E non è cosa da poco, se ci ricordiamo dei nomi inopportuni delle edizione passate.