«Aldo Gioia era cosciente:
ci chiese di cercare il suo assassino»

«Aldo Gioia era cosciente: ci chiese di cercare il suo assassino»
di Gianni Colucci
Giovedì 25 Novembre 2021, 08:07 - Ultimo agg. 20:44
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Effusioni prima dell'esecuzione e poi tanto sangue sulla scena del delitto. Una udienza drammatica quella di eri al processo per l'omicidio di Aldo Gioia. Gli uomini delle forze dell'ordine intervenuti immediatamente dopo al chiamata al 113 della moglie dell'assassinato, hanno ricostruito la scena che si sono trovati nel soggiorno della casa al quinto piano di corso Vittorio Emanuele.

Gioia davanti a quattro uomini delle volanti della questura di Avellino alle 22,30 era sanguinante, ancora vivo, ma in preda al delirio. Chiese ad un poliziotto, che ieri ha testimoniato in aula, di guardare dietro ad una tenda per vedere se ci fosse ancora la persona che l'aveva aggredito. La figlia più grande, Emilia, intanto, gli tamponava una profonda ferita al costato. L'uomo che era seduto sul divano dove qualche minuto prima dell'aggressione stava dormendo, aveva tagli profondi anche alle gambe. «Sangue dappertutto», hanno detto gli agenti sentiti in aula (gli ispettori Lippiello, Gaglione e Genovese, prima di loro il capo della Mobile Gianluca Aurilia).

Ma dove era Elena? Poco distante, su una sedia nella cucina a vista del soggiorno.

Quando l'agente Lippiello stava guardando dietro al tenda indicatagli da Aldo, Elena si alza e si avvicina al divano dove il padre era sofferente. Non sembra che abbia pronunciato parola. Sicuramente a soccorrere l'uomo era la figlia maggiore. Poco prima Elena aveva aperto il portone al fidanzato intrattenendosi in effusioni come si evince alle immagini delle telecamere di sorveglianza.

Minuti drammatici anche perché l'ambulanza che era stata chiamata dalla moglie di Aldo, Liana Ferraioli, non arrivava. Diverse le chiamate al 118 anche dalla centrale operativa della questura. Poi all'arrivo dei sanitari il trasporto a braccia del ferito fino al piano terra. La morte un'ora dopo in ospedale. Intanto i poliziotti trovavano il fodero del coltello, il giubbotto e finanche la tessera sanitaria di Giovanni Limata. Immediatamente si viene rintracciato nella sua abitazione a San Martino Valle Caudina. All'arrivo dei poliziotti del commissariato di Cervinara, Giovanni consegna il coltello, contenuto in una borsetta da donna. Sostanzialmente confessa: racconta di essere stato accompagnato a casa da Sonia Guerriero e dalla figlia Sara Clemente: lo avevano prelevato ad Avellino dopo l'omicidio. La figura di Sonia Guerriero (non indagata) appare centrale in questa fase della vicenda. La donna, secondo gli avvocati, aveva ospitato Giovanni per molti mesi presso la sua abitazione. Quel che è certo che Sonia la sera del delitto prendeva a bordo della sua auto il ragazzo e lo riaccompagna a casa. Ma non sparisce. Quando Giovanni la tira in ballo, i poliziotti non hanno nemmeno il tempo di cercarla che la donna si presenta presso l'abitazione del giovane, confermando la sua versione.

E in aula si ripercorre anche minuto per minuto la serata di quel 24 aprile di quest'anno. L'omicidio avviene tra le 22,32 e le 22,38. Nella chat sui telefonini la progressione delle comunicazione tra Aldo ed Elena. Alle 22,24 lei scrive: «Papà sta dormendo»; alle 22,31 Giovanni scrive: «Sono dentro», pochi attimi dopo l'agghiacciante: «Vai amo'» di Elena.

Video

I poliziotti ricostruiscono i momenti precedenti, descrivendo le immagini della telecamera di sorveglianza del negozio «Brums» che si trova all'angolo del tunnel che porta all'ingresso del palazzo della famiglia Gioia. La ragazza comunica via whatsapp che sarebbe scesa a gettare l'immondizia lasciando il portone aperto al ragazzo per farlo entrare. Quando lei scende, lui è già sotto; ci sono anche delle effusioni tra i due come dice uno degli agenti che ha visionato il video. Quindi, la ragazza risale e lui si intrufola nel portone. La telecamera riprende pochi minuti dopo le 22,30 la sua fuga. A Piazza Libertà una vettura l'attende. Giovanni lascia nel sottoscala un giubbotto, nelle tasche calzini e slip, un altoparlante portatile oltre al fodero del coltello. Nel pomeriggio altri messaggi preparatori (ma già dal 18 aprile le chat testimoniano un fitto colloquio tra i due con a tema l'omicidio), il giovane incrocia una macchina dei carabinieri: i militari lo guardano con attenzione, ma non lo fermano.

Contestata dai difensori di Limata (Kalpana Marro e Fabio Russo) l'ammissione di una intercettazione di Giovanni in carcere. La Corte si è riservata di decidere sulla richiesta di perizia psichiatrica sul giovane. Non era presente in aula Elena (difesa da Livia Rossi) e nemmeno la madre Liana (difesa da Francesca Sartori). Giovanni, in maglietta bianca a mezze maniche, seduto quasi immobile nella gabbia degli imputati, ha assistito impassibile. Prossima udienza il 22 dicembre. Saranno ascoltati il medico legale Carmen Sementa, la madre e di Elena e la sorella Emilia.

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