Era il 1° aprile quando la ragazza M. D.A. sottoposta ad angherie e segregazione dalla madre, riesce a parlare con la sorella F.DA.
Si era ammalata di covid e la madre che ora è in carcere, decicde si trasferirla dalla proria camera da letto a quella della sorella dove dormivano anche altri due dei quattro figli minori. La ragazza da tre anni legata al letto, a volte alla balaustra delle scale di casa, può finalmente chiedere aiuto alla sorella e mostrare le ferite che ha sulle caviglie e i polsi causate dai catenacci, una ustione al petto causata forse da una cicca. La giovane la fotografa e chiama il proprio fidanzato per raggiungere la caserma dei carabinieri di Avellino. Lì mostra le foto e fa scattare l'intervento.
Devono passare 23 giorni dal momento in cui viene trasferita nella camera della sorella perchè M.D.A. possa avere giustizia. Tanti giorni nei quali la sorella deve combattere con dubbi e timori. Tale e tanta è l'influenza esercitata sulla famiglia dalla madre, che anche davanti alle suppliche di quella ragazza in catene, non scatta immediatamente l'istinto di proteggerla, difenderla, chiedere aiuto.
E' sabato 23 aprile quando al ragazza arriva dai carabinieri.
La ragazza riferisce ai militari che chiamano la guardia medica per una visita e poi ne curano il ricovero in ospedale, che ha tentato il suicidio in passato ingerendo dei farmaci e che alla notizia la madre rispose con sarcasmo: «E' forte non le succede niente».
Ma la decisione di legare la giovane ha anche un'origine, Nel 20128 M.D.A. fuggì di casa e fu ritrovata dai carabinieri.
La ragazza racconta che dai sei anni viene presa di mira dalla madre. A quella età le torse un braccio fino a spezzarlo, furono allertati i servizi sociali e la ragazza fa il nome delle assistente sociali che arrivavano in casa. Ma quel lontano episodio non sortì un intervento radicale. Agli assistenti sociali le figlie erano costrette a mentire sulle reali condizioni del nucleo familiare. M.D.A. era quella presa di mira: mangiava in piedi, lontana da tutti, le era impedito di lavarsi e vestirsi decentemente, tanto che a scuola era apostrofata come «puzzona». Le venivano negati anche gli assorbenti igienici. Le era impedito di studiare, così che fosse bocciata a scuola, fu ritirata dalla scuola a 14 anni, e da quale momento fu trattata come una serva in casa.
Poi le continue vessazioni: sigarette spente sulla pelle, botte con il cavo della televisione, botte anche recenti, tanto che vengono riportati i segni di quelle botte inferte con il cavo anche nel referto della guardia medica redatto da una dottoressa quasi in lacrime.
Intanto ieri mattina ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere, la donna di 46 anni accusata di maltrattamenti e sequestro di persona nei confronti della figlia di 21 anni. La teneva incatenata al letto nellabitazione di famiglia, una casa popolare di Aiello del Sabato. Da domenica è in carcere a Bellizzi dove dice di essere in un forte stato depressivo dovuto anche alla condizione di reclusione. Con l'avvocato Francesco Buonaiuto che l'ha accompagnata al Gip non ha voluto fare alcuna dichiarazione. In tribunale è stato ascoltato anche il marito della donna, il giardiniere di 46 anni con la quale ha avuto otto figlio. Anche l'uomo deve rispondere degli stessi reati, attualmente per lui è stato disposto il divieto di avvicinamento all'abitazione di famiglia. Nell'inchiesta anche il ruolo dei servizi sociali che in questa storia appaiono i grandi assenti. Come assente pare il senso di solidarietà, l'umanità di un intero paese che ha negato a se stesso il dramma di una ventunenne.