Dodicimila persone resteranno senza reddito di cittadinanza in Irpinia. La pioggia di sms con cui l'Inps comunica ai percettori la sospensione dell'assegno, così come deciso dal governo Meloni, si sta abbattendo anche sui telefoni delle 8509 famiglie che, stando all'ultimo report dell'osservatorio Inps su reddito e pensione di cittadinanza, hanno ricevuto il sussidio medio di 584 euro nel mese di giugno. Il reddito ha garantito un aiuto in Irpinia a 18126 persone che, in larga parte, da martedì dovranno barcamenarsi alla ricerca di un lavoro che a queste latitudini manca più che altrove. Una vera e propria emergenza sociale secondo il segretario della Cgil, Franco Fiordellisi: «circa 12000 persone perderanno il sostegno mensile di poco superiore a cinquecento euro o, volendo ragionare per famiglie, circa 6800 nuclei, con all'interno persone occupabili, su 8509 che avranno un sostegno temporaneo di 350 euro. Questo significa che un esercito di cittadini in difficoltà dovrà recarsi nei Centri per l'Impiego per farsi prendere in carico, chiedere di accedere ai corsi di formazione oltre che rivolgersi ai servizi sociali. Una follia se consideriamo le strutturali difficoltà dei servizi sociali, basti pensare al Piano di zona A4 di Avellino che non riesce ad erogare servizi ai bisognosi e vive alla giornata. Figuriamoci se potrà dare risposta ad interi nuclei familiari».
Stando alle nuove regole introdotte con l'ultima legge di Bilancio, lo stop comunicato dall'Inps ai percettori è il primo step verso l'eliminazione del rdc, che proseguirà poi con l'attivazione dei servizi sociali e l'avvio del nuovo assegno da 350 euro previsto per l'autunno. Come previsto a dicembre, da agosto chi ha tra i 18 e i 59 anni e viene considerato abile al lavoro non riceverà più l'assegno. Sono esclusi i nuclei familiari con disabili, minorenni o persone over 60, che riceveranno il reddito fino a dicembre, prima dell'arrivo del nuovo assegno di inclusione il prossimo gennaio.
Il rischio concreto da evitare è che la cancellazione del rdc possa creare nuove sacche di povertà. Per questo la Cgil si appella alle istituzioni locali: «soprattutto in quelle aree del Sud dove il lavoro povero la fa da padrone e i servizi sociali sono pressocché inesistenti, i Comuni, che ben conoscono la mappa dei bisogni dei cittadini, più che usare i Puc per compensare la mancanza di personale dovrebbero agire all'unisono, anche con il sindacato, e promuovere un'azione verso la Regione e il Governo nazionale per ripristinare un minimo di dignità economica per queste famiglie. La povertà non è una scelta che la politica può giudicare o addirittura utilizzare per svolgere servizi che il pubblico non riesce a garantire. Servono reddito di base universale e vera formazione per avviare le persone ad un lavoro dignitoso».