Fidanzatini killer, la mamma di Giovanni:
«Non era solo, manipolato da Elena»

Fidanzatini killer, la mamma di Giovanni: «Non era solo, manipolato da Elena»
di Gianni Colucci
Giovedì 29 Aprile 2021, 00:00 - Ultimo agg. 19:20
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Inviato a Cervinara

«È facile capire chi è stato manipolato», Maria Crisci è la madre di Giovanni Limata, il giovane di 22 anni che ha ucciso il padre di Elena la sua ragazza diciottenne. Nelle ore precedenti tra i due decine di messaggi nei quali lei da indicazioni, fino all’ultimo: «Ok, vai amo’». Dopo il delitto lui scappa e viene accompagnato a Cervinara, il suo paese d’origine, da un’amica che chiama al telefono. Giovanni venerdì scorso ha finito con 14 coltellate Aldo Gioia, 53 anni, tecnico della Fca, mentre era appisolato sul divano di casa. In diverse chat allucinanti Elena e Giovanni costruiscono «il piano operativo», come lo definisce il magistrato che ha formulato l’ipotesi di omicidio premeditato. Lei chiede al giovane fidanzato di far fuori il padre, lui agisce come un burattino. 

«Mio figlio conosceva da tempo quella ragazza che era stata anche accompagnata dalla madre a casa nostra», dice Maria Crisci, difesa dal penalista Mario Villani.

Il quale ritiene che non sia assolutamente definita la vicenda: «C’è la possibilità che ci sia un secondo coltello. Non l’hanno trovato: ma noi sappiamo che sulla scena del crimine ci sono state molte interferenze mentre si tentava di soccorrere il povero Gioia. Quattordici coltellate sono tante e Giovanni non era solo in quella casa». Maria ricostruisce i rapporti familiari. «La nostra è una famiglia semplice, mio marito Pietro fa il netturbino, io sono casalinga ma sappiamo come educare i nostri figli. Una nostra figlia lavora fuori, ha studiato, Giovanni ha avuto difficoltà».

E in effetti Giovanni ha vissuto molte ore difficili in passato. Catalogate come mattane, come colpi di testa. «Sì - dice la madre - si è dovuto curare e ha sofferto. Ma ha sempre reagito trovando la famiglia dalla sua parte a sostenerlo».

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Era stato salvato da un carabiniere quando tentò di lanciarsi in un torrente per una delusione d’amore; era stato anche capace di minacciare nel 2019 un vicino di casa brandendo uno dei suoi coltelli da collezione. Poi qualche denuncia, e la fine della scuola nello scorso dicembre, quando ha deciso di lasciare l’istituto professionale che frequentava. Ora Giovanni è rinchiuso nel carcere di Bellizzi ad Avellino, in un padiglione femminile c’è anche Elena. Passano il tempo guardando la televisione, non hanno chiesto libri, non hanno chiesto da scrivere. «Sono come imbambolati, perduti nei loro pensieri», li descrivono. «Noi andremo presto a trovarlo - dice mamma Maria - vogliamo stargli vicini come possiamo, sappiamo cosa sta soffrendo». Poi prova a ricostruire quello che è accaduto quella maledetta sera: «Giovanni è andato nel pomeriggio ad Avellino con l’autobus, non sapevano qual era il motivo. A tarda sera è ritornato stanco, strano, accompagnato da qualcuno, ci ha detto. Poi sono arrivati i poliziotti e l’hanno preso». Giovanni in effetti una volta che ha commesso il delitto è scappato dall’abitazione del corso principale del capoluogo irpino e ha chiamato una sua amica. La giovane che non se la sentiva di andare ad Avellino da sola in auto, ha chiesto a sua madre di accompagnarla. Le due donne ieri sono state ascoltate in procura. Durante il tragitto di ritorno Giovanni ha mascherato bene quel che era accaduto, anche perché non aveva addosso il giubbotto macchiato di sangue (lo aveva abbandonato nella tromba delle scale di casa Gioia). Aveva tenuto nascosto anche il coltello Cobra che aveva con se. Poi però non ha resistito e ha rivelato alle due donne di aver litigato con il padre di Elena. «Giovanni era convinto di non aver ucciso nessuno», dice Maria. 

Intanto ad Avellino i familiari di Elena (la madre Liana e la sorella Emilia che erano in casa al momento dell’aggressione) hanno avvisato le forze dell’ordine. In pochi minuti l’arresto. Agli uomini della Mobile di Avellino, diretti da Gianluca Aurilia, poi lo stesso Giovanni ha indicato l’armadio in cui era nascosto il coltello con cui aveva ferito mortalmente Aldo Gioia. «Io e mio marito stiamo soffrendo - dice Maria -, ma non era la nostra famiglia ad essere manchevole, Non è la nostra famiglia che non ha amore al suo interno».
 

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