Lavoro, crisi record col Covid nel Sannio:
perse 7 milioni di ore, incubo licenziamenti

Lavoro, crisi record col Covid nel Sannio: perse 7 milioni di ore, incubo licenziamenti
di Antonio Mastella
Venerdì 16 Aprile 2021, 08:49 - Ultimo agg. 12:15
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L'impennata è ormai una costante, superiore nei numeri anche alla più pessimistica delle previsioni. Il Sannio del lavoro sempre di più aggrappato alla cassa integrazione per provare a sopravvivere al Covid-19 e alle sue varianti. È addirittura al di là di ogni pur ragionevole ipotesi previsionale la dimensione cui la cig è pervenuta in un anno di pandemia. I numeri, in tal senso, sono a dir poco preoccupanti. Sono stati concessi, in poco più di un anno, dall'inizio del lockdown, in sostanza, qualcosa come circa 38 milioni di euro. Negli anni precedenti, in quelli ovviamente prima della pandemia, l'erogazione si attestava, mediamente, tra i 10 e i 15 milioni. Per rendersi compiutamente conto del baratro in cui sta precipitando l'economia provinciale, è sufficiente segnalare che l'erogazione, dallo scorso 31 marzo a oggi, è cresciuta di due milioni circa: era di poco più di 36 al 31 marzo, in pratica un incremento del 6 per cento. È la realtà, quella descritta, che emerge da un'indagine condotta dalla Cgil su dati Inps.

«Siamo di fronte dice Luciano Valle, segretario generale della Cgil a una situazione a dir poco anomala e, direi, sconvolgente, per tanti versi».

Scorrendo la lista delle cifre che definiscono il ruolo che la cig sta svolgendo in questa fase, si comprende ancora di più se mai ve ne fosse bisogno la portata della gravità della situazione. «Sono andate perdute sottolinea il sindacalista qualcosa come sette milioni e mezzo di ore di lavoro. È una Caporetto, naturalmente, che sta travolgendo l'occupazione. La nostra preoccupazione più grande è dettata dalle conseguenze che si determineranno sui livelli occupazionali quando, da qui a dieci settimane, salvo decisione contraria, non sarà più in vigore il blocco dei licenziamenti». È un timore più che fondato. Quali siano le prospettive che si delineano se non dovesse essere prorogata la misura, che sta ora congelando i licenziamenti, è lo stesso leader della Cgil a formularle: «Nella nostra provincia si contano trentaseimila dipendenti di ogni settore. Non dovessero rinnovare il provvedimento, ci ritroveremmo con non meno del 20 per cento in meno di persone che non avranno più la possibilità di timbrare il cartellino. E la stima è improntata alla massima prudenza».

In altre parole, non è improbabile che il mondo del lavoro sannita possa vedersi depauperato di almeno altre mille unità. Vale subito aggiungere che, a pagare il prezzo più alto, sarebbero le donne. Si può prendere in esame il ruolo impiegatizio per rendersene compiutamente conto. Su poco più di 10.000 dipendenti con questo tipo di contratto, le donne sono 6.000 (4800 gli uomini). «È chiaro spiega che la presenza al femminile si ridurrà in misura maggiore rispetto a quella maschile». Sempre in base allo studio condotto dalla Cgil, è ancora di più evidente che crescerà il gap tra i due sessi dal momento che il 60 per cento delle donne è titolare di un rapporto a tempo determinato. Il prezzo più alto, se non ci sarà una svolta istituzionale nella difesa del posto di lavoro, lo pagherà il settore che, per eccellenza, costituisce la struttura portante di ogni economia: quello industriale. 

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«Per effetto del Covid e della crisi che ha innescato puntualizza Stefano Soreca, responsabile della Fiom-Cgil sannita un fiore all'occhiello come quello aereospaziale, che occupa un migliaio di addetti, si sta misurando con un rallentamento, negli ultimi mesi, che si aggira intorno al 70 per cento. Una decrescita prodotta dall'incertezza che sta sconvolgendo i piani industriali dei colossi del comparto». Per quel che concerne la realtà metalmeccanica, le note non sono meno inquietanti. «In questa area produttiva, strategica dice Giancarlo Stefanucci, segretario Fim-Cisl quello che sta accadendo è fonte di grande inquietudine. Un esempio per tutti: c'è una fabbrica dell'automotive che continua a tenere le saracinesche alzate solo per ultimare i residui degli ordini. Se non ci saranno novità, al 31 dicembre cento lavoratori rischiano il posto». Chiude il quadro, a tinte fosche, naturalmente, Giuseppe Forgione della Uilm-Uil: «Nelle aziende che seguiamo, su 400 lavoratori circa, almeno il 60 per cento è in cig».

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