Ex centrale nucleare del Garigliano,
fondi per la bonifica dal Recovery Art

Ex centrale nucleare del Garigliano, fondi per la bonifica dal Recovery Art
di Antonio Borrelli
Giovedì 29 Aprile 2021, 09:26 - Ultimo agg. 09:27
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Se ne parla da 30 anni e da oltre una ventina si aspetta la luce in fondo al tunnel. Ma ora l'auspicata riconversione della centrale elettronucleare del Garigliano potrebbe essere finalmente realtà, trasformando quella inquietante sfera-reattore in un caveau dei tesori archeologici del nostro Paese.

La svolta dovrebbe arrivare (anche in questo caso) dal Recovery Plan. Nel piano Next Generation EU - elaborato dal governo Draghi e approvato nelle scorse ore da Camera e Senato - è stato infatti annunciato un intervento di riqualificazione della struttura di Sessa Aurunca, in fase di smantellamento dal 1999. La discussa ex centrale dovrebbe trasformarsi in un deposito temporaneo per la protezione dei beni culturali mobili in caso di calamità naturali, insieme alle altre due ex centrali nucleari italiane di Bosco Marengo e di Caorso e alle vecchie caserme di Camerino e Cerimant di Roma. La riqualificazione rientra nel «Recovery Art Conservation Project», programma di prevenzione antisismica per chiese, campanili e torri e interventi di restauro delle chiese del Fondo Edifici di Culto, che afferisce al Ministero degli Interni. Ottocento milioni di euro, di cui una fetta importante sarà destinata alla trasformazione dell'ex centrale in deposito di beni. Non è ancora stata svelata l'entità dei fondi per la struttura di Sessa, ma tanto è bastato per riaccendere la speranza. «Si tratta di una bellissima notizia per l'Intera area circostante, perché sarà possibile recuperare pienamente e nella massima sicurezza un'area delicatissima anche e soprattutto da un punto di vista ambientale», ha riferito il senatore casertano Agostino Santillo, vicepresidente del gruppo Movimento 5 Stelle.



E la storia della centrale elettronucleare del Garigliano è lunga e travagliata. Progettato dall'ingegnere Riccardo Morandi, dal 1963 l'imponente impianto poggia sulla linea di confine tra la Campania e il Lazio. È in disuso ormai dal 1982, quando l'Enel - allora proprietaria - la disattivò perché il suo ammodernamento costava troppo.

Ben cinque anni prima che con un referendum gli italiani scegliessero di abbandonare il nucleare e di chiudere le centrali sul territorio nazionale. Eppure al Garigliano non tutto si è esaurito nel 1987. Da allora è iniziata la faticosa strada in salita per smantellare la centrale. Un programma oggi giunto solo a metà. A farsi carico del progetto è Sogin, ente statale proprietario dell'impianto dal 1999. Solo allora partì il maxiprogetto di smantellamento.


Un'operazione complessa, costosa e lunga. I lavori veri e propri sono cominciati nel 2006 e la scadenza è fissata al 2028: è allora che saranno state smantellate 268.150 tonnellate di rifiuti e 5.739 tonnellate di rifiuti radioattivi. Tutto per un costo di 383 milioni di euro. L'impegno dei tecnici oggi riguarda soprattutto i lavori di allontanamento del combustibile nucleare, la decontaminazione e la gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Si chiama «decommissioning» ed è l'ultima fase del ciclo di vita di un impianto nucleare. Il problema è che l'Italia non ha un Deposito Nazionale disponibile, lo attende da anni e nel frattempo paga la Francia per ospitare le scorie inviate e custodite. E tra 7 anni, quando i rifiuti saranno pronti per essere trattati, si riproporrà lo stesso problema. Per ora, però, nessuno tra Ministero della Cultura e Sogin sa rispondere su quanto nuovi fondi e destinazione della centrale del Garigliano incideranno sul piano di decommissioning.

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