“Bulky”, l'ingombrante libro di Raffaella Simoncini

Il volume esplora la vita di due donne colpite dalla malattia

Libro pubblicato da Neo Edizioni
Libro pubblicato da Neo Edizioni
di Alessandra Farro
Lunedì 28 Novembre 2022, 16:37
4 Minuti di Lettura

La malattia viene, spesso, associata all’impossibilità di continuare la propria vita di tutti i giorni, o meglio, all’impossibilità che qualcosa di buono possa essere cavato fuori da un momento di disgrazia.

Raffaella Simoncini con la sua opera prima “Bulky”, edita da Neo Edizioni, esplora la vita di due donne colpite dalla malattia e di come questa esperienza le abbia cambiate in positivo e in negativo.

La vita non finisce con la malattia, ma si trasforma. “Bulky” in inglese significa “ingombrante”, mentre in medicina – oncologia nello specifico – indica una massa maligna da circoscrivere ed asportare.

Quanto è intimo questo romanzo?
«La storia nasce da un’esperienza personale: ho avuto il cancro quando ero molto giovane, 25 anni.

Questo non fa di “Bulky” un libro autobiografico né un racconto che ruota soltanto intorno alla malattia. Il titolo stesso è sia un termine che troviamo su una cartella clinica per descrivere una particolare diagnosi, sia una parola dal significato metaforico. “Ingombrante” come qualcosa che è in un posto in cui non dovrebbe essere, nel caso della protagonista, Luce, una massa tumorale, ma anche “ingombrante” come qualcosa che si allarga nello spazio della nostra vita, una cosa che occupa spazio che noi non vorremmo fosse occupato in quel modo. Anche le protagoniste di questo libro combattono contro ciò che non vogliono più avere nella loro vita, in senso pratico e teorico. Si tratta di una storia fatta di conti in sospeso e di riscatti personali da ottenere».

Quindi di personale cosa c’è?
«L’esperienza della malattia, ovviamente, è narrata con precisione perché l’ho vissuta. Nella descrizione dei sintomi esprimo totalmente quello che ho provato sulla mia pelle: quando parlo di “camera sterile” e di allucinazioni, quando racconto che lei sente la Carrà, per esempio, è accaduto davvero a me. I personaggi, però, il modo in cui si muovono e le relazioni che intessono non c’entrano con me, o meglio c’entrano con chiunque: quello che succede a queste due donne può accadere a tutti».

“Ingombrante” è la parola che sintetizza tutto.
«Proprio all’inizio della storia c’è una parte della malattia che viene fuori con questo termine, mi è sembrata la parola migliore capace di racchiude in sé tanto una storia che racconta di qualcuno che si trova di fronte a qualcosa che gli fa male e non sente che gli appartiene, quanto quel momento in cui si sente l’esigenza di liberarsi di ciò che viene percepito come ingombrante nella proprio, rapporti o persone che siano».

Nel libro traspaiono dei momenti di felicità nati tramite un’amicizia coltivata in malattia: il dolore non porta soltanto negatività?
«Avendo provato sulla mia pelle un’esperienza del genere, mi sono resa conto che lo stato di malattia in cui vive il degente non è totalizzante come si percepisce dall’esterno. Ci sono dei momenti positivi, nell’immaginario collettivo può sembrare assurdo, in quel momento è necessario non negare nessun sentimento provato. Non volevo raccontare la malattia come un dramma, ma nella sua realtà: a volte porta a galla emozioni negative, molte, che si provano, ad esempio, cercando di nascondere la rabbia versp quello che c’è da affrontare, il desiderio di fuga e di cambiamento, ma anche le emozioni positive. Questa è una storia vera fatta di felicità, di rabbia, di coraggio, di forza, di dolore e non racconta soltanto come viene vissuta la malattia dai malati, ma anche dagli affetti vicino, i loro sentimenti e i loro cambiamenti, perché la malattia colpisce tutti, rivoluziona chi si trova ad affrontarla ma anche le vite degli altri che sono vicine al malato».

Quanto ti ha cambiato la malattia?
«Non sono d’accordo con quanti dicono che la malattia e la sofferenza ti migliorano, semplicemente ti portano a scoprire quello che sei. Ti ritrovi a diventare privo di corazze, sei tu e basta. Io mi sento di poter dire che la malattia come altri episodi forti come questo, rendono tutto trasparente: è come se di punto in bianco tutto quello che pensavamo un momento prima non abbia più valenza, o meglio, come se quelle sovrastrutture a cui siamo abituati ad ancorare la nostra vita crollino e possiamo guardare la realtà per quella che è, possiamo guardarci allo specchio per quello che siamo. Certo, non è detto che il cambiamento sia forza positivo: ti vedi e vedi tutto e tutti diversamente, senza maschere. Diventi nudo e reale, essenziale, e può far male, come bene».

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