Lorenzo Marone, Sono tornato per te: sul ring della vita tra i campi del Sud e i lager nazisti

L'ultimo romanzo di amore e morte, orrore e coraggio

Lorenzo Marone
Lorenzo Marone
di Titti Marrone
Venerdì 3 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:55
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Ogni giorno, a Napoli, Lorenzo Marone passa davanti al civico 65bis di via Morghen al Vomero indicato da una pietra d'inciampo come il luogo dove, per i primi e unici sei anni della sua vita, visse il bimbo ebreo napoletano Sergio de Simone, ucciso dalla bestialità nazista. A quel bambino ha scelto di dedicare Sono tornato per te, il suo ultimo romanzo di amore e morte, orrore e coraggio. Il motivo della dedica risiede nella seconda parte di una narrazione cangiante, intima e delicata nelle pagine iniziali, incalzante e straziata nelle successive che sono ambientate in un imprecisato lager nazista. Ed è come se l'architettura stessa del romanzo, sconfinando dalla vita semplice di una tranquilla comunità contadina del Vallo di Diano al luogo più di ogni altro rappresentativo della perdita dell'umano, trasmettesse alla scrittura le sofferenze di uomini e donne catapultati loro malgrado nelle pagine della Grande Storia vergate con il sangue versato dai fascismi.

Con sapienza narrativa Marone governa così un ordito a doppio binario, a rispecchiare due realtà lontanissime: da una parte l'insolita rappresentazione della civiltà contadina meridionale con i suoi rituali e i suoi legami durevoli, dall'altra la descrizione cruda del campo di sterminio.

Nelle primissime pagine apparecchia subito per il lettore lo scenario da romanzo storico in cui l'invenzione letteraria andrà a incastrarsi e il particolare che lo alimenterà: la passione delle SS per la boxe, praticata nei lager con incontri su ring montati nottetempo, tra prigionieri prosciugati dalle privazioni e kapò naturalmente destinati alla vittoria.

Uno dei boxeur obbligati è Cono Trezza (detto Galletta per il suo carattere impulsivo), colto nel momento decisivo di un incontro impari che deciderà della sua vita. Poi con abile scarto narrativo arretriamo nel tempo e lo ritroviamo prima della deportazione, nel suo tranquillo paese, anch'esso immaginario ma sintesi di due località care a Marone.

Il primo dei due fili con cui si tesse la trama del racconto è quello di una storia d'amore classica e romantica. Comincia con il colpo di fulmine di Cono alla vista della quindicenne Serenella - per lui la Damigella - che amerà per il resto della vita e gli darà la forza di sopravvivere. Lei figlia di un artigiano antifascista e lui contadino bravo nei campi ma anche a tirare pugni, non chiederebbero che di vivere il loro amore nel paesino di Monte Rianu, un pugno di «case cucite l'una contro l'altra, fatte di pietre senza intonaco», di stradine dove nelle feste religiose sfila la processione con la statua di Gesù Cristo portato «sulle spalle dei più forti tra i devoti, ondeggiando di qua e di là, come se si trovasse sulla prua di un gozzo in balìa delle onde. Ma a portare la statua con i suoi amici è Romano, il figlio del podestà, una volta compagno di giochi di Cono, ora suo rivale in amore. Già Cono si è rifiutato di fare il saluto fascista dopo una gara di pugilato segnalando una irriducibilità su cui il podestà potrebbe forse ancora sorvolare, se non fosse per un gancio sulla faccia poi assestato per gelosia a Romano. Da qui al giorno in cui Cono scopre che l'ex amico ha appena stuprato una ragazza del paese e lo fa nero di botte, le cose precipitano: la vendetta dei fascisti si accanisce contro il padre e un amico e Cono non ha altra scelta che scappare, dopo un ultimo incontro travolgente con Serenella, e consegnarsi all'arruolamento. 

Un nuovo, serrato scarto nel racconto fa procedere la storia fino al 1943, quando Cono dopo l'8 settembre sfugge all'esercito del Reich diventato nemico, entra in contatto con i partigiani ma è deportato nel campo di sterminio tedesco tra i «politici». E lì vive una situazione non dissimile da quella degli Imi, gli internati militari italiani che dopo l'armistizio si rifiutarono di arruolarsi nell'esercito di Salò. Qui si dipana il filo della parte più bella e intensa del racconto in cui Marone mostra la vita nel lager: le selezioni, gli stenti, l'impiego in lavori come la rimozione del «Dreck», «che in tedesco significa sterco, così erano chiamati i cadaveri lasciati a marcire sul selciato». Però Cono ha il vantaggio di saper boxare, e soprattutto combatte per poter tornare dalla ragazza amata. Quell'abilità gli procura un po' di cibo e il sostegno dei compagni che vedono il lui il loro riscatto. Fino al giorno fatale in cui si troverà di fronte a un antagonista temibilissimo, a un drammatico bivio e a dover rispondere al supremo comandamento della sopravvivenza...

Una folla di personaggi minori popola la storia: tra questi, oltre al compagno di prigionia Palermo, risaltano il professore, capace di neutralizzare almeno un po' la disperazione con la ricerca ostinata della bellezza; il detenuto francese che intrattiene per giorni i compagni di baracca con l'evocazione del suo amore per Cecile, donna in realtà inesistente; il campione Piuma, che svela a Cono la sua verità: «Si lotta per vincere la paura, non il tuo avversario». Viene il momento in cui tutto sembra perduto, l'inumano sembra aver avuto il sopravvento. Cono pensa che «erano riusciti a prendersi di lui il grasso, i muscoli, la pelle, l'anima. Alla fine a trionfare sarà l'amore, Marone sembra dirci che solo quello è l'unico antidoto alla barbarie. E ci fa pensare, guardando alle due guerre che dilaniano questo tempo, che proprio ne abbiamo smarrito la strada. 

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