Massimo Recalcati al teatro Bellini di Napoli: «La morte è oscena più del sesso»

«La vita umana è una serie di lutti, diceva Freud, e il primo è la nascita»

Massimo Recalcati
Massimo Recalcati
di Ugo Cundari
Martedì 28 Febbraio 2023, 12:21
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Divulgatore dei meccanismi psicologici sofisticati e di quelli primordiali, volto noto della televisione dall'aria rassicurante, erede di Lacan e suo interprete in Italia, lo psicanalista Massimo Recalcati dopo aver raccontato nei suoi libri parabole e personaggi della Bibbia da Giobbe a Caino alla notte del Getsemani, e affrontato temi come i rapporti familiari, l'amore e il sesso, la melanconia e la creazione, di recente ha scritto La luce delle stelle morte (Feltrinelli). È un saggio sul lutto, che sia per la fine di un amore o per la perdita di una persona cara, e sui diversi tipi di nostalgia, temi dei quali parlerà venerdì e sabato alle 18 al teatro Bellini, che va verso il tutto esaurito. 

Recalcati, che succede quando ci si lascia con una persona amata?
«Ci si sente perduti.

Non si perde, infatti, solo l'oggetto amato, ma si perde, insieme a quell'oggetto, il senso del mondo e, di conseguenza, una parte significativa di noi stessi. Di qui lo sguardo smarrito, vuoto e angosciato che vediamo sul volto di chi sta vivendo il lutto di una separazione. Al vuoto lasciato dalla perdita dell'oggetto che si è aperto nel mondo corrisponde il vuoto che si è aperto simultaneamente nel soggetto».

E quando muore un nostro caro?
«Una parte di noi muore, una parte di chi perdiamo rimane con noi. La vita umana è una serie di lutti, diceva Freud, e il primo è la nascita, in cui perdiamo la dimensione protetta e ovattata della vita intrauterina, poi c'è il lutto dello svezzamento, dell'educazione sfinteriale e tanti altri».

Come si lavora il lutto?
«Attraverso la memoria di chi abbiamo perduto, il dolore per la sua assenza e il tempo necessario affinché la nostra vita riprenda a vivere. Per Nietzsche il lavoro del lutto corrisponde a un "tempo di aprile", a un "vento australe" che venendo da sud scioglie la vita dal gelo che l'ha avvolta».

Questa società, i nostri tempi, ci costringono a ignorare la morte?
«Baudrillard diceva che, un tempo, ad essere oscene in televisione erano le battute a sfondo sessuale. Nei nostri giorni questo non è più considerato osceno. Anzi. Oscena è diventata piuttosto la morte. Parlare in televisione della morte significa essere osceni. Viviamo in un tempo dove l'invecchiamento, la malattia, la perdita, la sconfitta, la sofferenza appaiono come un inciampo al successo e all'affermazione della propria vita. Invece queste esperienze fanno parte della vita. Non sono affatto un inciampo occasionale. Sono l'essere stesso della nostra vita. Ignorare la morte è ignorare la nostra realtà più profonda. Siamo finiti, mortali, destinati alla polvere. Ecco, dire questo è diventato osceno».

Il libro si apre con una citazione di Hannah Arendt.
«Lei diceva che "gli esseri umani non sono fatti per morire ma per vivere, per nascere, per vivere e nascere molteplici volte". Per questa ragione la morte di un essere umano non è mai naturale, non può essere paragonata ad una foglia che in autunno si stacca dal ramo. La morte di un essere umano appare sempre prematura, contronatura, ingiusta».

Come si accetta l'idea che un giorno saremo niente?
«È più facile notare che non si accetta affatto. Io stesso trovo che morire sia una follia, una ingiustizia profonda. Io vorrei vivere infinite volte, vorrei che durasse ancora, che non finisse mai. Questo mi spinge a vivere con gratitudine la vita. Perché non ci sarà ritorno, non ci sarà un'altra possibilità».

Che differenza c'è tra nostalgia-rimpianto e nostalgia-gratitudine?
«Con la prima si rimane prigionieri del passato. Il vigore del nostro corpo, il nostro primo amore, la casa d'infanzia, la terra dove siamo nati. Lo sguardo è qui rivolto all'indietro, è uno sguardo melanconico perché non può raggiungere quello che è già stato, che abbiamo lasciato alle nostre spalle. Per questo la nostalgia rimpianto è una afflizione legata al ritorno come impossibile».

L'altra?
«Nella nostalgia-gratitudine facciamo esperienza di un passato che ritorna dal futuro, che ci visita in modo sorprendente. Tutto ciò che ho vissuto, il bene come il male, la gioia come il dolore, tutte le persone che ho incontrato, i buoni come i cattivi incontri, tutto ciò che ho vissuto è benedetto. La gratitudine è infatti un modo di entrare in rapporto al nostro passato alternativo al rimpianto. Ringrazio, benedico, accolgo tutto ciò che mi è stato dato e che ho vissuto». 

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