Mina Settembre come il commissario Ricciardi: esce il nuovo romanzo di Maurizio de Giovanni

Mina Settembre come il commissario Ricciardi: esce il nuovo romanzo di Maurizio de Giovanni
di Ida Palisi
Martedì 13 Luglio 2021, 08:06 - Ultimo agg. 18:33
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Belle, seducenti, dall'apparenza illusoria. Come Napoli, un tempo Partenope, una delle tre sirene del mito letterario, che attrae e intrappola, con la bellezza sospesa, la fragile sincerità della sua gente, la metamorfosi che alla fine la rivela per ciò che è, nel bene e nel male. Ed è la doppiezza dell'inganno e della realtà con la sua dose di meraviglia, che Maurizio de Giovanni racconta nel nuovo Una sirena a Settembre (Einaudi Stile Libero, pagine 262, euro 18,50), in uscita oggi.

Un libro diverso da quelli che l'hanno preceduto con il personaggio di Mina (Gelsomina) Settembre, l'assistente sociale mora, dalle forme generose e dall'indole battagliera, che risolve a modo suo i casi persi, comparsa per la prima volta nel 2013 in un racconto per Sellerio, poi trasformata in eroina da romanzo e portata anche in tivù con il volto di Serena Rossi.

In questo terzo romanzo (del tutto indipendente dalla versione televisiva, ispirata ai racconti) Mina, personaggio forte e fuori dagli schemi, un po' malafemmina alla Totò, dolce in fondo ma fuori amara assai, è co-protagonista (con altre «sirene») di un racconto tutto al femminile, dove sullo sfondo dei Quartieri Spagnoli e del suo dedalo di vicoli e di caratteri, si incrociano vite sbagliate che lei non prova a correggere ma quantomeno a sostenere, strizzando l'occhio alla legge in nome di un senso della giustizia del tutto popolare. 

Alle prese sempre con casi impossibili come l'amore ricambiato, ma lei non lo sa per il ginecologo Domenico-machiamamiMimmo Gammardella, che assomiglia a Brad Pitt al meglio in tutti i suoi film, Mina deve fare i conti con l'isolamento sociale, dopo che è andata in onda una puntata speciale del «Canto della sirena» con una brutta storia di povertà e un bambino (in de Giovanni la vittima per antonomasia del disagio sociale) che si contende un pezzo di pane nientemeno che con un cane. E mentre la gente dei Quartieri la identifica con uno Stato indegno di esistere, un'altra donna, Susy, sirena dalla «implacabile biondità», giornalista fidanzata con l'ex marito di Mina, il magistrato Claudio De Carolis, costruisce il successo sulla spettacolarizzazione del dolore collettivo.

«Una breve ma intensa analisi di mercato aveva portato a ottimizzare le due principali risorse a disposizione: una carismatica, attraente e angelica giornalista, bionda fuori e dentro, la persona più bionda che il regista avesse mai conosciuto, e un'area metropolitana vasta e composita, nonché incline alla disperazione e alla speranza quanto nessun'altra. Bastava inventarsi qualcosa che ottimizzasse questi due fattori, il belloebuono e il bruttoesporco. Il vecchio caro cortocircuito, lo spiazzante territorio della denuncia e del disgusto mescolati con la pietà e la rabbia da rivalsa», scrive de Giovanni, quasi a gridare il suo sdegno contro la tivù spazzatura e un tipo di informazione deformata dagli indici di ascolto. Così bisogna capire cosa sia davvero successo dietro a un altro caso, quello di un'anziana in fin di vita per uno scippo, su cui per vari motivi De Carolis si ostina a indagare. Sulla strada della verità si incontrano, come sempre, destini perduti e da rimettere in sesto, esistenze da salvare, e la storia, dolce e tenera, di una giovane ragazza, Ester - un'altra sirena - dalla voce meravigliosa, costretta sulla sedia a rotelle e che il fratello vuole riabilitare a tutti i costi. 

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E mentre queste donne tenaci e oneste tutte a modo loro, si confrontano nel gioco dello svelamento tenuto abilmente insieme dal narratore, è un personaggio esterno, la Madre di tutte le storie e dello scrittore stesso, che fa la differenza in questo Mina Settembre. È la «Signora», e a lei il compito di tenere insieme le fila del discorso, ora ironico con punte di comico da teatro, ora sentimentale, ora profondamente nero. Un interludio, come nei migliori romanzi del commissario Ricciardi, dove l'espediente della voce fuori campo serviva a rendere conto dell'umanità dolente, a tracciare le coordinate entro cui si muoveva il racconto.

E anche se continuano a esserci le battute a effetto e le iperboli di cui de Giovanni è maestro, lo scrittore dà il meglio di sé nel racconto nostalgico, in quello che vuole essere un atto d'amore per la sua città che può dirsi povera ma mai ipocrita, anche nella rappresentazione delle sue deformità, e per la donna-Sirena da cui arrivano tutte le ispirazioni. «Volevo raccontare la Napoli di oggi come non l'ho mai fatto prima», confessa Maurizio de Giovanni, «e farlo partendo dal modo di raccontare storie di mia madre: spezzando ziti, schiacciando pomodori, mentre noi figli seduti sul pavimento della cucina le ascoltavamo». Così, scavando nella memoria, compare a un certo punto anche lui, scrittore che si fa personaggio della storia. E il gioco dell'immedesimazione è completo. 

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