“Notte, giorno, notte”: l'ultimo, toccante romanzo di Beatrice Monroy

Un delitto senza colpevoli e le confessioni di una coppia sul balcone ascoltate da un vicina

La copertina del libro
La copertina del libro
di Alessandra Farro
Martedì 9 Maggio 2023, 17:25
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Sud Italia, esterno notte, 1993. Matilde, insonne, passa le notti seduta sulla sedia a dondolo sul suo terrazzo mentre il marito, Federico, è in camera da letto a dormire. Al balcone adiacente, ci sono Carla e Roberto, che la notte parlano, si confidano e si confessano, tormentati dall’omicidio del padre di Carla che non ha ancora un colpevole. A loro insaputa Matilde presta l’orecchio alla loro storia, che in qualche modo è anche la sua. “Notte, giorno, notte” è l’ultimo libro della palermitana Beatrice Monroy, edito da Giulio Perrone Editore.

Come nasce la storia?
«Ne avevo scritto un primo frammento moltissimi anni fa.

Mi piaceva l’idea di raccontare una storia che riguardasse questi luoghi-non luoghi delle città del Sud, come Palermo o Napoli, in cui ci sono quartieri di solo cemento. Poi, nutrivo il desiderio di indagare su alcuni aspetti femminili, che ho esplorato tramite Matilde: la malata incapacità di vivere in relazione con il prossimo, l’avidità nei confronti del proprio spazio, in questo caso rappresentato dalla torre di cemento che Matilde e Carla dividono all’ultimo piano del palazzo e, anche, l’amicizia di tutta una vita che Matilde non sa come portare avanti. Dopo molti anni, poi, ho capito di voler parlare del ’93, per raccontare le conseguenze delle Grandi Stragi su noi del Sud: una grande battaglia che diventa una grande sconfitta. Volevo, infine, canalizzare l’attenzione sui “non-eroi”, che si ritraggono sempre e sono convinti di poter vivere la loro vita serenamente anche mentre nel mondo esterno tutto sta crollando».

Il racconto ha un tempo preciso ma è senza un luogo definito: come mai?
«Sono una donna del Sud e ci tengo molto a questa collocazione geografica. Chi scrive al Sud, deve immergersi nel mondo del Sud. Io conosco bene Napoli, ci ho frequentato l’università. Napoli e Palermo, ad esempio, sono città simili, accomunate da una borghesia che si crede superiore e rifiuta di vedere nei colletti bianchi la corruzione, ma che, in realtà, rappresenta il contrario della vera borghesia, quella colta. Il racconto è ambientato in una grande città del meridione circondata da cemento armato rovente, lo stesso che ha permesso la proliferazione del fermento artistico e culturale del Sud».

Si potrebbe dire che in questo libro si annidi un giallo nel giallo?
«C’è un cold case che si mescola alla storia attuale: il cold case non andrà mai via, finché la verità non sarà esposta. Nella storia, i personaggi ascoltano ma non vogliono farlo, vivono in questo mondo in cui pensano di poter rifiutare la realtà, ma ne restano ingabbiati».

Allo stesso modo nei protagonisti si celano altri protagonisti: Matilde spia Carla e Roberto, che sono al centro della storia tanto quanto lei.
«È come se la storia fosse sdoppiata continuamente: è vero che seguiamo lo sguardo di Matilde, però Carla e Roberto non sono antagonisti. Il ruolo da protagonista di Carla è quasi il doppio di quello di Matilde. Carla è una donna oscura almeno quanto l’altra, soltanto che, a differenza della sua dirimpettaia, trova una via, anche se non riesce a perseguirla. Mentre Carla e Matilde sono la stessa persona sdoppiata, Roberto è forse l’unico personaggio positivo, che cerca un mondo nuovo e ha capito che bisogna stare in mezzo alle cose e non rinchiusi nella propria torre».

È stato difficile per lei raccontare il lutto, come dolore intimo oltre che pubblico?
«Ho molto riflettuto sulla storia del lutto. Ci sono studi classici sull’argomento e Judith Butler affronta il lutto a cui molte persone sono state costrette a causa delle Torri Gemelle. Dopo le Grandi Stragi, il lutto di noi palermitani, invece, ci è stato negato, come succede anche a Carla, che soffre da anni a causa di una morte che non può essere espressa. Nel caso delle Torri Gemelle, un’intera cittadinanza è stata in lutto, ma anche noi palermitani non eravamo mossi soltanto dalla rabbia al tempo. Esistono dei grandi eventi della storia che stravolgono le persone, ma ogni persona individualmente vive, oltre al lutto collettivo, il suo lutto personale, come, appunto, nel caso di Carla, ed era questo quello che mi piaceva raccontare».

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