«Nel rimorso che proveremo», il libro Piero Malagoli sulla fine della Seconda guerra mondiale

Un racconto tra umanità e odio

La copertina del libro
La copertina del libro
di Alessandra Farro
Giovedì 11 Gennaio 2024, 17:00
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Un parroco in cerca di fede muove la pietas di “Nel rimorso che proveremo” (Edizioni Spartaco), l’ultimo romanzo di Piero Malagoli, che porta i lettori indietro nel tempo, a partire dall’8 settembre 1943 nel paesino immaginario di Robbianeto, popolato da incredibili personaggi profondamente umani e indissolubilmente segnati dalla guerra. Da un partigiano in cerca di una tomba ad un fascista pentito, da un ragazzino che si dà alla prostituzione a un medico cinico: il piccolo mondo inventato da Malagoli racchiude un universo di anime smarrite.

Come nasce la storia?
«Tutto prende vita dal personaggio iniziale, il parroco di campagna, Padre Sebastiano, e dal suo alter ego, il dottor Allegri, il medico del paese, il suo contrario agnostico votato alla scienza.

I due si completano a vicenda, essendo uomini di cultura in una piccola realtà contadina. Visualizzavo chiaramente questi personaggi nella mia mente e sapevo che mi stavano raccontando qualcosa, ma avevo bisogno di un filo conduttore che legasse le loro vicende. Così, mi è venuto in mente di parlare degli ultimi 18 mesi della Seconda Guerra Mondiale, che ha segnato profondamente l’Italia, tramutandosi quasi in guerra civile verso la sua conclusione. Mi ha affascinato capire la genesi di questo argomento, lo trovo molto attuale».

Lei racconta la Seconda Guerra Mondiale sotto il profilo umano, diviso tra amore ed odio.
«La guerra è disumanizzante e l’odio generalmente compatta le masse più dell’amore. Sulla scorta di questo ragionamento, i personaggi hanno preso vita manifestandosi con enorme profondità. Così, avevo trovato il mio filo conduttore: indagare le cause scatenanti e la propagazione dell’odio, che diventa centrale nella vita di tutti. Parlo di guerra civile, perché eravamo oltre la logica della guerra bellica, regnava un odio sotterraneo che generava sospetti e diffidenze».
 

Quanto c’è di reale nella sua storia?
«Lo racconto nelle note, ho assunto una persona per restituire realtà al personaggio del parroco: il fratello di mia nonna paterna uscito dal seminario su un paesino tra i colli. Anche per il dottore mi sono lasciato ispirare da mio padre, che era un medico. Non si tratta, poi, di un romanzo storico ma di un libro di pura narrativa, dunque, non sono sceso troppo nei dettagli. Ai fini della storia non era per me importante raccontare chi avesse ordinato quel determinato agguato tedesco oppure quella specifica ritorsione a discapito degli italiani. Non sono uno storico, mi sono basato sui racconti degli ex partigiani».
 

Quindi qual era l’obiettivo?
«Ciò che mi premeva indagare in questo romanzo era la reazione delle persone davanti a uno scenario al limite, come può essere quello di un conflitto armato. Tra le domande che mi ponevo continuamente: cosa pensava una donna con il suo bimbo in grembo che sedeva in un rifugio anti-aereo mentre aspettava che arrivasse il bombardamento al suono delle sirene? O, ancora: cosa pensava un partigiano che aveva sparato a un tedesco e sapeva che così facendo nel giro di qualche giorno ci sarebbe stata una ritorsione che avrebbe colpito alcuni abitanti del suo paese? Magari a causa sua sarebbero state giustiziate dieci persone con le spalle al muro, magari tra loro ci sarebbero stati anche suo fratello e suo padre; come riusciva a convivere con questo pensiero? L’odio anti-fascista era tanto forte da superare questa eventualità atroce? Pongo e rispondo a questi e ad altri quesiti tramite i protagonisti e le loro storie».

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