Tommaso Pincio, Diario di un'estate marziana nella Roma di Flaiano (e Fellini)

Pincio fa propria l'idea che Roma sia un grande set: «Era la stessa sensazione che aveva Fellini girando per le strade»

Tommaso Pincio
Tommaso Pincio
di Antonio Saccone
Giovedì 5 Gennaio 2023, 11:00
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Sul proscenio dell'ultimo libro di Tommaso Pincio, Diario di un'estate marziana, (Giulio Perrone editore, pagine. 177, euro 16) campeggia la figura di Ennio Flaiano. Il suo miraggio è inseguito dall'io narrante fino all'assimilazione mimetica. Uno degli obiettivi preliminari di Pincio è sottrarre l'autore di Un marziano a Roma all'immagine di ideatore di epigrammi e motti di spirito, alla «flaianite», mania tanto diffusa da essersi conquistata una collocazione nella Treccani: «Tendenza a citare o attribuire, talvolta anche a sproposito, battute e aforismi dello scrittore e giornalista Ennio Flaiano». L'indagine, allestita sui procedimenti di una divagazione saggistica intrecciata a suggestive figurazioni narrative, restituisce il ritratto critico di un narratore inconsueto, quale Flaiano, capace di cogliere con uno sguardo penetrante, non privo di una malinconia segreta, soffusa e amara, il cinema e Roma, «una Hollywood sul Tevere», che nel libro è ben più di un fondale scenografico.

La planimetria tracciata dall'autore nelle sue passeggiate condotte avanti e indietro nel tempo, senza alcun ordine cronologico, con salti e sospensioni, lungo le strade della capitale già percorse da Flaiano, che nutre per lei, per la sua indifferenza, amore e odio, contribuisce a completare, arricchendola, la fisionomia dello scrittore e sceneggiatore abruzzese.

«Roma è il sodalizio con Fellini, un'amicizia finita male ma mandata avanti per otto film niente male a cominciare dal film dei film, La dolce vita»: il regista rubò al suo più geniale sceneggiatore (per stare alla versione datane da quest'ultimo) il ricordo della sua infanzia «mortificata» dal padre e dal fascismo, riversandolo nei suoi film.

Pincio fa propria l'idea che Roma sia un grande set: «Era la stessa sensazione che aveva Fellini girando per le strade». Ricorda il tempo in cui era bello, più che vedere i film, andare al cinema, nelle centinaia di sale, di cui era piena Roma. Prima dell'apparizione delle tv commerciali «la vita romana ha ruotato attorno al cinema più di quanto ruotasse attorno alla politica e i suoi intrallazzi». Ne sortiva quell'indistinzione tra recitazione filmica e vita reale, tra spettacolo cinematografico e spettacolo del mondo «vero», che sollecitava Fellini a riconoscere come la «vera» via Veneto «non la strada che da Villa Borghese scende fino a Piazza Barberini, ma quella che aveva ricostruito per La dolce vita, nello studio 5 di Cinecittà».

Funzione protagonistica assume per Flaiano l'estate. Nei «Fogli di via Veneto» scritti per «L'Europeo» Flaiano vede, con l'apparire della stagione estiva, nei caffè straripanti sui marciapiedi l'allestimento di uno scenario balneare. Gli ombrelloni che coprono i loro tavoli creano l'atmosfera di una spiaggia. Sugli scrittori e registi messi in scena nel suo memoriale narrativo Pincio tesse una variegata trama, non mancando di collegare le loro invenzioni con gli eventi della cronaca. Nella vicenda della ventunenne romana Wilma Montesi, il cui cadavere sarà ritrovato nell'aprile del 1953 sulla spiaggia di Torvaianica, con la testa immersa nell'acqua, molti vedranno una fonte di ispirazione per «La dolce vita». In particolare a suggerirlo saranno la sequenza dell'animale marino ritrovato sulla spiaggia di Fregene, ma anche il ruolo che nel film hanno i fotoreporter, non meno cruciale di quello che ebbero i cronisti impegnati a raccontare il drammatico episodio, intensificandone il clamore sensazionalistico. «Il caso Montesi e il fenomeno dei paparazzi esplodono insieme, alimentati da una stessa cultura, quella della celebrità e dello scandalo», in cui l'umanità si muove come se si trovasse davanti ad una cinepresa. Scrive Flaiano: «Si finisce per credere che la vita sia in funzione del cinema, ci si fa l'occhio fotografico, si vede la realtà come un riflesso di quella che vive e palpita sullo schermo». 

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La passeggiata di Pincio per le strade della città dell'effimero diventa anche l'attraversamento del 900, in cui hanno agito gli attori del suo libro. Se pur definito «breve», quel secolo sembra prolungare la sua durata: «È un po' come l'estate, questo Novecento dei nostri nonni e dei nostri genitori, questo secolo in cui siamo nati e cresciuti senza viverci però abbastanza da non poterlo abbandonare: sta sempre finendo». 

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