Dimenticate i dipinti straordinari di Villa dei Misteri. I mosaici celebri della casa del Fauno. Gli affreschi commoventi della domus dei Vettii. E tutto lo splendore e la bellezza che ogni giorno attirano negli scavi anche più di ventimila turisti. «L'altra Pompei», ovvero la mostra appena inaugurata nella palestra grande, in programma fino al 15 dicembre 2024, è volutamente triste ma istruttiva, perché propone una narrazione diversa, persino più viva, della città antica. Più buia e sofferta, più riflessiva e feroce.
«Memoria della maggioranza» fa notare il direttore del parco archeologico Gabriel Zuchtriegel, curatore con Silvia Martina Bertesago del percorso espositivo suddiviso in sette sezioni e aperto da un video che dà voce agli ultimi, gli sfruttati, i fragili, dall'oste alla prostituta.
Con un gioco di luci e ombre e uno sforzo di immaginazione, il visitatore si ritrova tra gli schiavi e il ceto medio-basso, in un insieme di testimonianze, tra le «vite comuni all'ombra del Vesuvio»: dentro il racconto dell'«arte della plebe», quella di sopravvivere.
La ricostruzione di un'intera credenza, con gli oggetti ritrovati nella casa del Larario, è una novità per appassionati del genere e curiosi, come la stanza degli schiavi scoperta a Civita Giuliana, riprodotta nelle dimensioni reali con la tecnica del calco, dall'arredo minimal (altre anfore e lucerne originali, con il carro cerimoniale sottratto ai tombaroli grazie agli 007 guidati da procuratore capo Nunzio Fragliasso, si trovano nel museo da poco rinnovato a Boscoreale). «Dormivano mamma, padre e figlio adolescente in appena sedici metri quadrati», indica i tre letti Tiziana Rocco, tra le menti del progetto scientifico. Questo spazio sulla «familia servile» è centrale nell'allestimento: porta in primo piano catene, travi, graffiti; denuncia l'insostenibile condizione delle meretrici. E, tra gli oggetti, rispolvera una lettera piena di maledizioni, le peggiori, indirizzate a due amanti da una donna tradita. Sentimenti di ieri e di adesso. «Va da sé che, come avviene oggi, l'abbigliamento cambiava a seconda della classe sociale», prosegue Rocco, ricordando che la tunica era indossata dal popolo, la toga dall'élite. I vestiti sono esibiti dalle statue o dalle figure tratteggiate sui muri, illustrati dall'iconografia dell'epoca, ma frammenti di tessuti sono anche impressi nei calchi o esposti carbonizzati. A seguire c'è una sala dedicata al divertimento e al tempo libero, dai giochi da tavolo all'atellana, con un nucleo di pietre e una maschera in prestito dal Mann, senza trascurare i combattimenti dei gladiatori.
L'allestimento dell'architetto Vincenzo de Luce punta sui contrasti e differenti cromie per accentuare la tensione: «Alcune sezioni sono inondate di luce naturale per ammirare la veduta del cortile; alcune non hanno visione, negano anche lo sguardo sull'esedra», osserva. Per rappresentare i concetti di «mobilità e conoscenza del mondo», un recinto verniciato di nero, a forma di barca, è colmo di anfore e, sullo sfondo, c'è una mappa su merci e importazioni, da Pozzuoli fino alla Spagna e al Nord Africa. Il percorso si chiude, pensando alla morte e al dopo, se esiste oltre la disperazione: cosa credevano gli abitanti dell'altra Pompei? E, qui, appaiono Dioniso, Iside, un'urna e il busto di un giovane satiro dal tempio dorico, già in copertina sul catalogo pubblicato da Artem.