Ilva, svolta green con lo Stato nel capitale: Invitalia studia la nuova governance

Ilva, svolta green con lo Stato nel capitale: Invitalia studia la nuova governance
di Nando Santonastaso
Martedì 21 Luglio 2020, 10:30 - Ultimo agg. 13:08
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La trattativa va, assicurano i bene informati. Il futuro dell'ex llva si discute a ritmo serrato ai tavoli tecnici concordati da Invitalia e ArcelorMittal. Si lavora alla definizione del nuovo piano industriale e soprattutto della governance che dovrà gestirlo, il nodo più strategico da sciogliere. Dopo la svolta pubblica per le concessioni autostradali, il governo accelera sul dossier del più grande polo siderurgico d'Europa ma deve fare i conti anche con incognite politiche non proprio trascurabili. La Puglia è infatti una delle regioni più importanti tra quelle chiamate al voto a settembre e il fronte del no alla permanenza del gruppo franco-indiano si concentra proprio a Taranto, a partire dal Comune. «La nostra deadline resta ottobre», fanno sapere fonti del ministero dello Sviluppo economico, ricordando che la scadenza autunnale per raggiungere un accordo non è proprio dietro l'angolo e che il confronto va gestito con prudenza, visti i precedenti.

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Da esso, tanto per essere chiari, dipenderà la volontà del gruppo franco-indiano di restare in Italia o di lasciarla, pagando una penale di 500 milioni rinunciando a un mercato non residuale ancorché in difficoltà. A cavallo del lockdown la seconda ipotesi sembrava a dir poco plausibile: blocco dei mercati, perdite importanti di fatturato, lavoratori in Cassa integrazione, fuga di tecnici da Taranto verso altre società. Lo stesso piano industriale presentato agli inizi di giugno, con la previsione del taglio di 5mila dipendenti, quasi la metà del totale, sembrava una sorta di addio annunciato, specie dopo l'inevitabile, durissima reazione di tutte le istituzioni nazionali e locali, dei sindacati e delle imprese. Oggi lo scenario sembra diverso e la possibilità di un'intesa tra ArcelorMittal e il governo inizia a fare capolino, con il gruppo siderurgico intenzionato a restare il partner industriale del progetto. Ma su che basi?
 


La governance, come detto, è il punto nodale della trattativa, fermo restando che l'intervento dello Stato è ormai scontato. «E che a prescindere da chi avrà la maggioranza del capitale azionario dovrà amministrare l'azienda con criteri di evidenza pubblica visto tra l'altro che il suolo sul quale sorge l'ex Ilva a Taranto è pubblico», osserva acutamente Antonio Marinaro, presidente dell'Unione industriali locale. In campo ci sono varie ipotesi. La prima prevede la nascita di una newco, di una società nuova di zecca cioè, con capitale a maggioranza pubblica e i privati in minoranza. Invitalia assumerebbe le redini del comando ma sicuramente non da sola visto che, a differenza di quanto è avvenuto con Cassa depositi e prestiti per la vicenda Aspi, non dispone dei necessari capitali. Le risorse dello Stato potrebbero arrivare da Fondi o da accordi di programma, senza dimenticare che il vero obiettivo dell'accordo avviare l'ex Ilva ad una dimensione green, ovvero alla decarbonizzazione è scritto a chiare lettere nel Piano nazionale delle riforme attraverso il quale l'Italia chiederà all'Ue di spendere i soldi del Recovery Fund che le spetteranno. Ciò vuol dire che la sintonia con il green new deal indicato dalla Commissione Ue sarebbe pressoché perfetta e l'accesso alle risorse abbastanza annunciato. ArcelorMittal, inoltre, potrebbe avvantaggiarsi dei contatti istituzionali gestiti dallo Stato che per un privato - anche se di dimensioni colossali - sarebbero comunque più complicati, specie in una fase di forte transizione ambientale. «Di sicuro solo lo Stato può garantire i capitali necessari a completare gli investimenti di risanamento ambientale che restano una priorità per il polo tarantino», si fa notare. E anche questo fa pendere la bilancia per una società guidata, magari solo temporaneamente, dallo Stato.

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Altra ipotesi potrebbe essere quella di dare continuità all'attuale ArcelorMittal Italia, la società che ha in affitto gli stabilimenti pugliesi, magari sempre con maggioranza pubblica.
Molto dipenderà dalle valutazioni finanziarie (il valore delle azioni, ad esempio) che sono in capo al Tesoro. In un caso o nell'altro, la presenza dello Stato nel capitale dell'ex Ilva dovrebbe garantire che i livelli occupazionali non verranno toccati, anche se è difficile escludere una riduzione legata ai lavoratori che possono essere accompagnati alla pensione. Un fatto sembra ormai certo: la decarbonizzazione, la sostituzione cioè degli altiforni con i forni elettrici meno inquinanti, non avverrà dalla sera alla mattina. Ci vorranno almeno tre anni, dicono gli esperti, prima di realizzare la svolta. E anche chi ipotizza il ricorso all'idrogeno per alimentare la struttura produttiva sa che dovrà aspettare: «Il gasdotto Tap (appena sbarcato sulle coste salentine, ndr), con il metano proveniente dall'Est Europa non arriverà a Taranto in tempi brevissimi», dice il presidente degli industriali, introducendo un ulteriore elemento di incertezza che potrebbe pesare non poco sull'esito della trattativa in corso. 

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