Regionalismo, nella Sanità ecco le regole-trappola: colpiscono chi muore prima

Regionalismo, nella Sanità ecco le regole-trappola: colpiscono chi muore prima
di Marco Esposito
Lunedì 20 Luglio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 21 Luglio, 14:08
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Gli anziani hanno più bisogno di assistenza sanitaria. Dove la speranza di vita è bassa ci sono meno anziani. Quindi si possono ridurre risorse per le cure dove si muore prima. In questi tre passaggi, logici solo in apparenza, c’è la trappola in cui è caduto il sistema sanitario campano. Una trappola scattata il 16 dicembre 2010 in un confronto fra governo e regioni. Da un lato del tavolo c’erano Roberto Calderoli e Raffaele Fitto, il primo - leghista - ministro della Semplificazione, il secondo, di Forza Italia, agli Affari regionali. Dall’altra parte c’erano i rappresentanti delle Regioni coordinati dal presidente Vasco Errani, governatore dell’Emilia Romagna. Con gran sorpresa di Calderoli, Errani comunicò che le Regioni avevano trovato l’accordo all’unanimità e il passaggio incriminato - poi vedremo quale - poteva essere cancellato dal decreto per determinare i costi e i fabbisogni standard nel settore sanitario. A quel punto fu Fitto, ex governatore della Puglia (dove quest’anno si ricandida), a perdere la pazienza e a chiedere alle Regioni del Sud se fossero coscienti del danno che accettavano. Ma l’intesa ormai era fatta.

Quale intesa? Quella che indica nell’età l’unico parametro per pesare la popolazione in occasione del riparto del Fondo sanitario nazionale, un forziere che per il 2020 ha visto suddivisi oltre 113 miliardi di euro. E la Campania ancora una volta, nonostante alcuni correttivi introdotti nel sistema, si trova un importo procapite sotto la media nazionale, per un importo di 44 euro per abitante. Una cifra che sembra modesta ma che vale 230 milioni. E il divario è maggiore se si confrontano alcuni territori. La Campania rispetto all’Emilia Romagna è sotto di 52 euro procapite e rispetto alla Toscana di 77 euro. Con la Liguria il divario è ancora maggiore ma in tale caso è in buona parte giustificato perché la Liguria ha oggettivamente una popolazione molto più anziana della media nazionale.

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Nessuno nega, infatti, il primo dei tre passaggi logici e cioè la circostanza che una persona anziana ha più bisogno di cure sanitarie. Il punto è che ci sono anche altri parametri che incidono sui fabbisogni sanitari, quelli cancellati nella riunione del 2010 (anche se la formulazione prevista era generica: «particolare situazione territoriale»). Un anziano è in difficoltà soprattutto quando convive con malattie croniche e tutte le statistiche confermano che la cronicità è più diffusa nelle fasce sociali deboli, quelle con minore istruzione e redditi più bassi. Cioè nel Mezzogiorno. Un fenomeno che viene sintetizzato con l’indice di deprivazione. Senza una seria politica sanitaria di prevenzione, quindi, i costi per le cure aumentano. Ma con la formula Calderoli (approvata con il consenso delle Regioni) non c’è una voce specifica per la prevenzione verso i deboli e così si finisce con il contare soltanto gli anziani. 
 


Il paradosso campano è che, proprio a causa della minore prevenzione, nonché del fatto che gli stili di vita sono meno salubri, le persone hanno una minore speranza di vita. I dati più aggiornati dall’Istat, relativi al bilancio demografico del 2018, vedono una media italiana di 83 anni tra uomini e donne con un massimo a Trento di 84 e un minimo in Campania di 81 anni e cinque mesi. A Trento ci sono più anziani e quindi è giusto che vadano assistiti a dovere; ma in Campania ci sono più persone che non riescono a raggiungere l’anzianità, magari per una carenza negli screening antitumorali, ed è assurdo che il sistema sanitario non si ponga il tema di accompagnare tutta la popolazione verso la vecchiaia. Il meccanismo in vigore invece, nel caso estremo di una regione dove tutti morissero prima dei 65 anni, porterebbe al sostanziale azzeramento delle cure sanitarie. Proprio nel luogo dove ce ne sarebbe più bisogno. 

Tuttavia, come ha ricordato il ministro Roberto Speranza nell’intervista al Mattino, «nel Patto per la salute sottoscritto con le Regioni c’è l’impegno a ridiscutere i criteri di riparto.
La mia opinione - ha aggiunto - è che bisogna tenere conto di altri parametri come la deprivazione sociale oltre a quello anagrafico». Una linea corretta. E però non è la prima volta che le Regioni (le quali, tra parentesi, da un quarto di secolo sono guidate da esponenti del Centronord) prendono un impegno generico e poi lo lasciano cadere per l’assenza dell’unanimità. Al tavolo della Conferenza delle Regioni ci sono molti «Rutte» pronti a mettere il veto. 

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