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Manifatturiero, cresce il made in Sud ma l'innovazione è ancora lenta

di Nando Santonastaso
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 22 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. : 23 Luglio, 08:01
4 Minuti di Lettura

Dimenticato dai partiti nel giorno più lungo e amaro del governo Draghi, il Sud sembra quasi “vendicarsi” con numeri e scenari che stanno lì a ribadire la sua assoluta centralità anche nel sistema industriale del Paese. Già, perché dal volume «Il tessuto manifatturiero del Mezzogiorno», curato da Srm (il Centro studi collegato a Intesa Sanpaolo) e dal Cesdim che si presenta stamane all’Università di Bari, si conferma che quest’area è settima nel ranking europeo per numero di imprese manifatturiere, circa 92mila, un quarto delle 367mila censite in Italia, collocata tra la Spagna (169mila) e la Slovacchia (77mila). E che l’interconnessione tra la filiera industriale meridionale e il resto del Paese è sempre più robusta, nonostante i ritardi infrastrutturali e l’insufficienza degli investimenti che da troppi anni la condizionano: «L’export interregionale supera quello estero: per ogni euro che va all’estero se ne aggiunge 1,3 destinato al resto del Paese. Ne deriva un importante effetto moltiplicativo: investire 100 euro nel settore manifatturiero meridionale genera un notevole impatto economico sul Paese pari a 493 euro di cui 315 euro fuori della regione di investimento), mentre la media nazionale si ferma a 375 euro», spiegano i ricercatori.

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Insomma, la forza del manifatturiero made in Sud c’è a dispetto di molti pregiudizi e di limiti che lo studio di Srm non nasconde affatto. La diffusione di imprese innovative, ad esempio, resta ancora al di sotto della media nazionale (48% contro 56%); la spesa in innovazione per addetto è di 6,4 mila euro contro i 9mila della media Italia; e il livello della digitalizzazione non è ancora accettabile (l’83,2% delle imprese con almeno 10 addetti ha un livello “basso” o “molto basso” d’adozione di Information Communication Technology). Non va meglio alla voce competenze e istruzione, che un peso sulle sorti delle imprese meridionali ce l’ha sicuramente: «Al Sud la popolazione è mediamente meno istruita (il 46,1% degli adulti risulta poco istruito contro il 33,7% nel Centro-Nord); elevato è l’abbandono scolastico (16,6% al Sud contro il 10,4% del Centro-Nord); ed alta è l’incidenza dei Neet (32,2% al Sud sul totale della corrispondente popolazione contro il 17,8% del Centro-Nord)». Eppure, rileva lo studio, sulle tre sfide indispensabili per il futuro, dalla sostenibilità ambientale alla questione energetica, ai nuovi equilibri geoeconomici basati sul Mediterraneo, il Mezzogiorno non è messo male. Anzi. La filiera bioeconomica vale un quarto di quella nazionale ma il suo peso specifico sul sistema economico dell’area è maggiore della media nazionale. E le potenzialità delle fonti rinnovabili e del sistema dei porti e della logistica ormai sono note ancorché ancora non del tutto sviluppate. 

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Quadro troppo roseo, considerati gli enormi problemi del momento? «La nuova ricerca delinea un Sud con un’anima produttiva importante ma in cui le eccellenze sono spesso nascoste nelle medie numeriche – dice Massimo Deandreis, Direttore generale di Srm -. Le imprese oggi devono però confrontarsi con un contesto in rapido cambiamento dove la sostenibilità dei prodotti e dei processi, l’impatto della transizione energetica e i nuovi equilibri geoeconomici avranno, più che in passato, un effetto diretto sulla capacità di fare impresa. Il Mezzogiorno con i suoi punti di forza, può diventare un’area ad elevata competitività, ma occorre puntare con convinzione su quella parte di Sud che innova e produce e che in questo studio abbiamo messo in luce». Quella che, per metterla con una specie di formula matematica, ribadisce il valore delle “4 A°” (automotive, aeronautico, abbigliamento e agroalimentare) più il farmaceutico per lo sviluppo complessivo del Mezzogiorno ma vi affianca il “3 C”. Ovvero competenza, connessione (logistica e digitale) e competizione (attraverso formazione e ricerca). «Abbiamo analizzato la manifattura meridionale con una visione multidimensionale perché le piccole, medie e grandi aziende non possono essere distinte da quelle leve “esterne” che ne determinano il funzionamento, quali l’innovazione, la sostenibilità, le filiere di fornitura ed ancora il tessuto logistico di riferimento. Sono elementi che formano un unicum con l’Industria, al quale è vitale più che mai assicurare le competenze (Formazione e Ricerca) per favorirne lo sviluppo», spiega l’economista di Srm Salvio Capasso. Una lettura diversa da quelle del passato, che esalta l’anima industriale del Mezzogiorno oltre le sue criticità e guarda ai 200 miliardi di risorse disponibili tra Pnrr, Fondi Ue e Fondi coesione con giustificata attenzione. Tenerne conto anche nei mesi della ormai imminente campagna elettorale sarebbe un buon affare per il Paese. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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