Guerra e aziende: manca il legno, ​al palo la filiera del mobile made in Italy

Guerra e aziende: manca il legno, al palo la filiera del mobile made in Italy
di Nando Santonastaso
Domenica 8 Maggio 2022, 23:03 - Ultimo agg. 9 Maggio, 12:31
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Prima della guerra e anche prima che i prezzi di gas e petrolio schizzassero alle stelle, il legno era una ricchezza a tutti gli effetti per l’Italia (e non solo perché, come sappiamo tutti, trovare un buon falegname e a prezzi accessibili è diventato sempre più difficile). Il settore a fine 2019 valeva 1,35 miliardi di euro alla produzione, in aumento del 2,3% rispetto all’anno precedente. In quell’anno sono stati realizzati circa 3.300 edifici in legno e la quota sui permessi di costruire toccava quota 7%. E ancora: l’Italia esportava 60 milioni di euro di fabbricati in legno con un tasso di internazionalizzazione del comparto non inferiore al 20%. È storia di ieri, ma sembra già passato tantissimo tempo. La pandemia prima, i costi energetici e la guerra poi hanno frenato intere filiere collegate al legno (l’edilizia, ovviamente, in primis) costringendo le aziende a rivedere budget e piani di espansione, anche sotto il profilo occupazionale. Noce, frassino, acero, faggio, ovvero il legno per eccellenza, la materia prima per il settore del mobile, sono diventati da mesi un grande punto interrogativo: nel senso che da Ucraina, Russia e Bielorussia, dove arrivava il 5,5 per cento del fabbisogno nazionale di tronchi e pannelli, non si importa più nulla. O quasi: se il legno supera le incognite (e i costi) della guerra, i tempi di consegna restano indefiniti e i costi lievitano. Gli imprenditori di Meda, ad esempio, una delle capitali del distretto del mobile della Brianza, in Lombardia, dicono che «una poltrona usciva dalle nostre aziende in 8 settimane mentre ora ne occorrono almeno 12 e nel frattempo i costi dei fornitori sono aumentati settimanalmente. Così si tagliano i margini, la ripresa partita in quarta nel 2021 ora tira il freno».


Per il mobile Made in Italy, insomma, sono tempi bui. È vero che la quota di mercato russa era stata negli ultimi anni ampiamente sorpassata dalle vendite nei mercati asiatici ed europei, ma fare finta di nulla è decisamente impossibile. E trovare alternative in casa, come ha fatto la Finlandia che ha deciso di incrementare la produzione di legno abbattendo più alberi per non dover attendere la materia prima da Mosca, da noi è pressoché impossibile o poco conveniente. Non a caso Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, ricorda che «cercare altri mercati per la materia prima non è così facile.

Si guarda al Nord America ma i costi di trasporto incidono». Il settore dei pannelli e del parquet è il più esposto: la betulla è importata all’80% dalla Russia, il pioppo nostrano non è sufficiente al fabbisogno. E poi, come detto, bisogna fare i conti con il caro energia: molti fornitori hanno produzioni che richiedono grandi consumi e stanno già producendo a singhiozzo per ridurre i costi. 

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Oltre tutto, mentre in Europa il mercato del legno e dei prodotti legnosi è complessivamente piuttosto equilibrato e quindi è prevedibile che le ripercussioni legate alla guerra e alle sanzioni non saranno enormi, da noi non sarà così. Il mercato italiano ha un’altissima dipendenza da importazioni per tondo, segati e cellulosa e la guerra in Ucraina è arrivata nel momento peggiore, quando cioè si tornavano a rivedere le cifre positive del 2019, come ricorda il “5° Rapporto Case ed Edifici in legno” realizzato da Assolegno, l’associazione di FederlegnoArredo che rappresenta le industrie di prima lavorazione e costruttori che utilizzano questo materiale. Il settore mobili arredo italiano ha chiuso infatti in crescita il 2021, con un aumento del fatturato a 49 miliardi (+14% sul 2019) e delle esportazioni (+7% sul 2019), sulla scia del generale clima di ripresa post pandemia. Ora, invece, si teme come in altri settori una tempesta perfetta: il caro materie prime, il crescente costo dell’energia e non da ultimo la drammatica diminuzione dell’export verso il mercato russo, che complica ancora di più la situazione. Peggio di così... Dice Tiziano Mirandola di Casartigiani Verona: «Per il settore del legno il mercato russo rappresenta da tempo uno sbocco importante e a pagare il costo delle sanzioni sono le piccole e medie imprese che si vedono ancora una volta – come era giù successo nel 2014 con la guerra di Crimea – con le spalle al muro». Sono infatti molte le aziende di Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia che avevano trovato nella Russia un acquirente privilegiato per mobili e materiali di arredo di qualità, costruendosi un mercato di nicchia, che adesso sta venendo meno. «Ci sono aziende del nostro territorio che avevano le commesse pronte e adesso si trovano in casa materiali di cui non sanno che farsi dato che si tratta spesso di prodotti di design proprio destinati all’estero e che in Italia hanno sempre meno mercato». E il futuro fa sempre più paura. «La Russia è il primo fornitore di legno di betulla per l’Italia e l’ha bloccata. Le aziende italiane hanno scorte ancora per uno o due mesi», dice Feltrin. E nessuno del settore pensa che abbia esagerato.

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