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Migranti, piano per l'accoglienza: posti anche nelle caserme, chiesto aiuto ai sindaci di tutta Italia

L’ipotesi di aumentare i fondi a chi gestisce i centri per i richiedenti asilo

Migranti, piano per l'accoglienza: posti anche nelle caserme, chiesto aiuto ai sindaci di tutta Italia
Migranti, piano per l'accoglienza: posti anche nelle caserme, chiesto aiuto ai sindaci di tutta Italia
di Francesco Malfetano
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 25 Marzo 2023, 22:05 - Ultimo agg. : 26 Marzo, 00:03
4 Minuti di Lettura

La convinzione è che si possa essere ancora in tempo. E cioè che quei «900.000 arrivi» prospettati da Giorgia Meloni al Consiglio Ue senza un intervento immediato a sostegno della Tunisia, possano essere ancora scongiurati. Tuttavia le resistenze del Fondo monetario internazionale e la tradizionale capacità di reazione al ralenti dell’Unione europea spingono l’esecutivo ad iniziare a ragionare su come, qualora ci si arrivasse davvero, debba essere gestita l’emergenza estiva. In primis chiedendo un coinvolgimento maggiore dei sindaci e, come “piano b”, facendo ricorso alle caserme per tamponare l’emergenza. 

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Per il momento si tratta di poco più che ipotesi che rimbalzano tra tecnici e consulenti di Viminale e Farnesina, eppure un primo abbozzatissimo «piano straordinario» inizia a prendere corpo. Anche perché, che si tratti di Lampedusa, Pozzallo, Messina o Taranto, nessuno degli hotspot attualmente attivi sarebbe in grado di “tenere” con un trend di arrivi come quello prospettato. I centri di prima accoglienza da liberare però, inevitabilmente, pongono un’altra questione: l’ampliamento della rete dell’accoglienza su tutto il territorio nazionale. 

LA PRIMA LINEA
Anche perché, al netto delle decisioni politiche sul riconoscimento degli status di rifugiato o richiedente asilo, delle modifiche alla protezione speciale che tanto hanno fatto discutere dopo il naufragio di Cutro, se emergenza sarà bisognerà governarla. E la prima linea a cui sarà chiesto uno sforzo aggiuntivo sono senza dubbio i sindaci. A loro verrebbe richiesta «una maggiore disponibilità» a reperire strutture immediatamente utilizzabili, che si tratti di Sai (acronimo che sta per Sistema di Accoglienza e Integrazione, ovvero la gestione “ordinaria”) e Cas (Centri di accoglienza straordinaria). 

Un passaggio questo, che in realtà risulta già parzialmente in corso, senza grossi risultati. Non solo perché i regolari bandi pubblicati dalle prefetture sono spesso andati deserti, quanto perché ai tavoli convocati dai prefetti in diverse zone d’Italia spesso i sindaci si sono presentati a mani vuote, chiedendo maggior risorse, come accaduto ad esempio a Belluno, Parma e Venezia. 

Del resto lo dicono i numeri dell’ultimo report elaborato da “Centri d’Italia”: meno di un comune su 4 (precisamente il 23,2%) nel 2021 era interessato dall’insediamento di un centro, sia esso di competenza prefettizia (Cas o centri di prima accoglienza) o afferente al sistema di titolarità pubblica (Sai). Un problema perché la soluzione migliore - in primis per i migranti - è considerata proprio il ricorso a strutture piccole e ben distribuite sul territorio. Tant’è che tra le ipotesi al vaglio ci sarebbero aumentare i fondi a disposizione degli enti locale, oppure a nuove incentivazioni per associazioni e cooperative del terzo settore. 

STRUTTURE TRANSITORIE
Se però questa tipologia di accoglienza non dovesse essere possibile a causa dell’afflusso, viene anche rispolverata l’idea di utilizzare le caserme militari per la cosiddetta accoglienza transitoria. Ovvero per alleggerire la situazione negli hotspot esclusivamente nei periodi “peggiori”. 

Al momento è considerata un’opzione piuttosto complicata, tuttavia, spiegano fonti informate, a dispetto di quando si optò per una soluzione simile nel 2014, dopo l’esperienza del Covid in cui le caserme sono state utilizzate per quarantene e isolamento, oggi si ha una capacità di gestione migliore e una reattività differente. Tant’è che si stima che si potrebbe agevolmente triplicare gli attuali 50mila posti disponibili tra Cas e altri centri governativi, in linea con quanto avvenuto negli anni passati. Oggi però la situazione si prospetta straordinaria. Basti pensare che nei primi tre mesi del 2023 sono arrivati in Italia 21.122 migranti (secondo i dati del Viminale aggiornati al 24 marzo), quando nel 2022 e nel 2021 sono stati poco più di 6mila nello stesso periodo. 
Discorso a parte infine, per i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), quelle strutture in cui i migranti vengono trattenuti in condizioni detentive, al fine di essere rimpatriati. Strutture per cui non solo il decreto Cutro ha semplificato l’iter legislativo, ma è anche già stato aumentato il budget di 5,39 milioni di euro per il 2023 nell’ultima legge di bilancio. Tant’è che, inseguendo la vecchia battaglia leghista dei 100mila rimpatri all’anno, Matteo Salvini ha dichiarato che «Ce ne sarà uno in ogni regione». Si spera in condizioni migliori di quelli attuali.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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