«A Caivano abbiamo riportato lo Stato, le istituzioni, per dire ai criminali di ogni sorta “con noi al governo non vi conviene sfidare lo Stato”, perché risponderemo colpo su colpo, non ci facciamo intimidire». Non è ancora tempo di cantare vittoria, Giorgia Meloni lo sa, perché che la camorra a Caivano sia stata sconfitta è ancora tutto da dimostrare. Ma quel mantra, “non consentiremo più zone franche”, lanciato a fine estate dalla premier sulla scia dello sgomento per l’orribile storia delle cuginette stuprate da un branco di minorenni, in questi quattro mesi è stato interpretato alla perfezione dagli uomini e le donne del suo governo, andati e tornati diligentemente da questo paesone del Napoletano portando ogni volta progetti, idee, soldi e persino - considerato il poco tempo trascorso - alcune concrete realizzazioni. E così, quando dal palco di Atreju rilancia il tema della sicurezza - elogiando il lavoro delle forze dell’ordine fino ad arrivare, di converso, a un duro strale contro chi racconta storie di camorra anziché storie di resistenza perché le prime «fanno vendere molto di più» - la premier ha gioco facile nel passare all’incasso.
L’accusa a Roberto Saviano, con cui Meloni ha da sempre un rapporto tesissimo, è lampante e alimenta a stretto giro altre polemiche.
A Caivano lo Stato non c’era e adesso c’è, ma il cammino è lungo e resterà accidentato finché non saranno i residenti a volersene rendere protagonisti. Ma non è questo l’aspetto su cui Meloni intende soffermarsi, nel suo discorso che improvvisamente vira sulla rappresentazione che di certe realtà viene proposta al grande pubblico. «Voglio ringraziare di cuore le forze dell’ordine che presidiano quel territorio, uomini e donne talvolta figli e figlie di quei luoghi, che hanno scelto la libertà e la legge che difende quelle libertà», afferma, per poi aggiungere, caustica: «Storie da raccontare che nessuno scrittore racconta, forse perché i camorristi fanno vendere molto di più, ci si fanno le serie televisive, regalano celebrità, ricchezza e magari un pulpito da New York da cui dare lezioni di moralità agli italiani. Sempre, si intende, a pagamento».
Il riferimento a Saviano è esplicito. Saviano che a ottobre è stato condannato a pagare mille euro per aver definito Meloni “bastarda” in tv, nel 2020 e che a novembre si è visto cancellare un programma in Rai sulla criminalità organizzata, ed ha reagito definendo la premier «una delle politiche più violente della storia democratica». Stavolta la replica arriva via Instagram: un laconico «Dimmi chi ti attacca e ti dirò chi sei». La stessa espressione usata da Giorgio La Pira in una lettera a Paolo VI: il “sindaco santo” difendeva don Bruno Borghi, prete operaio attaccato da chi «sta sempre comodamente sulla sedia dei ricchi».