Un processo infinito, che si trascina (in primo grado) da oltre dieci anni e che vede coinvolto uno dei più importanti palazzinari della città: Angelo Simeoli, meglio noto come "Bastone", rinviato a giudizio anche in altri procedimenti giudiziari e ritenuto dagli inquirenti della Dda punto di riferimento per il clan Polverino nella gestione di alcuni affari. Le accuse nei suoi confronti sono pesantissime e vanno dall'associazione mafiosa al concorso esterno. Angelo Simeoli, 80 anni, è un personaggio notissimo a Marano e, in particolare, nella popolosa frazione di San Rocco.
Prima di investire nel settore edile e della ristorazione, è stato a lungo un dipendente della Gesac, la società che gestisce i servizi nell'aeroporto di Napoli. È il fratello del defunto Mattia Simeoli, a per anni capozona dell'area flegrea per il clan Nuvoletta, ed è il cugino di Antonio, alias "Ciaulone", altro palazzinaro di grido della città - fondatore della Sime Costruzioni - da tempo detenuto per associazione mafiosa con la fazione criminale dei Polverino.
I processi di Angelo Simeoli procedono a rilento, anzi di più. Il più importante, scaturito da un'inchiesta avviata nel 2011 dalla Guardia di Finanza, è ancora pendente (primo grado) presso il tribunale di Napoli. I pm, solo di recente, hanno formulato le loro richieste di condanna: 14 anni per l'80 enne palazzinaro, e 33 anni (complessivi) per i suoi figli e per il genero, Carlo Simeoli, invischiato anche in un'altra importante inchiesta per intestazioni fittizie e riciclaggio di capitali in odor di camorra. "Bastone" è uno degli uomini più potenti di Marano: è a capo di un impero economico e di aziende edili che hanno fatto affari anche in altri territori del Giuglianese e del Casertano.
Di Angelo Simeoli riferiscono una miriade di pentiti: Roberto Perrone, Domenico Verde e Biagio Di Lanno, un tempo affiliati alla fazione criminale di Marano, ma anche collaboratori di giustizia di area casalese e giuglianese. Nel processo madre a carico di Simeoli Angelo sono coinvolti 57 imputati, molti dei quali rispondono del reato di intestazione fittizia di beni. Le Fiamme Gialle ricostruirono a suo tempo la traccia dei soldi, scovarono gli intestatari fittizi, le scatole cinesi, i prestanome, focalizzando l'attenzione su un impero economico del valore di un miliardo di euro. Tutto sequestrato: ville, parchi, ristoranti, terreni, autovetture e locali.
Il re del cemento maranese è rinviato a giudizio anche in altri due procedimenti.
Volge invece alla conclusione il terzo processo - che si celebra da tempo a Napoli nord - che vede lo vede alla sbarra, nel quale Simeoli deve difendersi dall'accusa di aver corrotto l'ex sindaco Mauro Bertini, anch'egli imputato nel medesimo procedimento assieme ai fratelli Raffaele e Aniello Cesaro. Per questo filone processuale, il pm Maria Di Mauro ha chiesto per Simeoli una condanna a 10 anni di reclusione. Il nome di "Bastone" è entrato anche in altre indagini ed è citato anche nel processo Pip Marano (primo grado). È stato lui, l'imprenditore noto per aver demolito la masseria del Galeota, ad aver intessuto i principali rapporti con i Cesaro che si erano aggiudicati l'appalto per l'area industriale. Il suo nome e la sua presunta vicinanza ai Polverino compaiono in tanti atti giudiziari, ma ad oggi nessun processo ha chiarito se Simeoli sia effettivamente un uomo del clan.