«Al fianco del mio Arturo,
una maratona contro la violenza»

«Al fianco del mio Arturo, una maratona contro la violenza»
di Paolo Barbuto
Domenica 6 Maggio 2018, 14:37
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Marisa non smette di urlare la sua voglia di cambiare il mondo, lo fa in qualunque maniera, con ogni mezzo, stavolta utilizza lo sport: una gara di corsa, non competitiva, che si svolgerà nell'ultima domenica di maggio.
Marisa è la mamma di Arturo, il 17enne che venne aggredito e accoltellato dal branco a dicembre. Dopo i giorni del dolore e della disperazione vissuti nel reparto rianimazione, sono venuti i giorni dell'impegno costante, della lotta contro la violenza. Adesso Arturo sta bene: «Sta ricominciando a respirare e a confrontarsi con la vita, con le interrogazioni di scuola, con i piccoli ostacoli quotidiani che ogni ragazzo della sua età deve affrontare». Eppure mamma Marisa Iavarone non riesce a darsi pace: continua a combattere la sua battaglia per spiegare che la violenza, soprattutto quella dei ragazzini, va contrastata con la cultura, con le parole, con il coinvolgimento, non con la repressione: «Ecco perché ho pensato alla possibilità di contribuire a un campo estivo per giovani a rischio, di quelli organizzati da Libera nelle strutture confiscate alla criminalità organizzata. È un'esperienza che aiuta a crescere, è esattamente ciò che serve a un minorenne che rischia di perdersi. E per raccogliere fondi da destinare a questa iniziativa invitiamo tutti i napoletani a correre con noi il 27 maggio».
 

Un'iniziativa che ha già raccolto adesioni importanti.
«Da Edoardo Bennato a Patrizio Oliva, da Maurizio De Giovanni ad Anna Kanakis a Massimiliano Rosolino a Michele Placido a Monica Sarnelli e mi scuso con i tanti che non sto nominando. Intorno a questa avventura si stanno stringendo in tanti, ma sarà determinante la presenza delle persone comuni che condividono la nostra voglia di cambiare».

Sarà una gara di corsa o una marcia di protesta?
«No, no, niente marcia di protesta. Desideriamo che la giornata sia gioiosa, felice. Non è urlando slogan che si cambiano le cose. Il segnale importante è il coinvolgimento della comunità perché è dal basso che deve iniziare il cambiamento, dalle persone, dalle famiglie, dalle aule di scuola».

Sembrano concetti abusati, forse poco efficaci di fronte all'esplosione di violenza che circonda il mondo dei giovani.
«Ecco, è questa sensazione di sconfitta che non deve vincere. Io dico che non sono concetti abusati e poco utili ma segnali da cogliere al volo. Io spesso racconto di un welfare di prossimità che deve diventare la base del vivere quotidiano: penso alle piccole cose che ciascuno può fare, soprattutto per i giovani. Agire nel modo corretto, fornire alternative alle ore vuote dei ragazzi, chiedersi quali sono le loro necessità, io sono certa che i piccoli gesti quotidiani sono più importanti dei grandi progetti internazionali».

Un approccio diverso, poco comune, magari difficile da condividere.
«Io invece dico che è comprensibile e in molti sono pronti a condividerlo. Una città sicura è una città che si cura del proprio futuro. Ecco, prendersi cura dei giovani significa progettare un domani migliore, giorni nei quali un genitore non dovrà vivere con terrore ogni ora che il figlio trascorre fuori di casa».

Basta una giornata di «corsa» per raggiungere questi obiettivi?
«La corsa è una metafora, dobbiamo correre assieme verso un obiettivo comune che è quello del contrasto alla violenza; correremo per andare incontro a un domani migliore, e dobbiamo farlo stando uniti: assieme alle associazioni del territorio, alle persone che accettano di mettersi in gioco. Ecco perché dico che una marcia di protesta non avrebbe lo stesso effetto: chi accoglierà l'invito, accetterà anche di partecipare in prima persona alla sfida non violenta contro la violenza».

Come verranno raccolti i fondi?
«Ad ogni partecipante verrà chiesto un contributo di tre euro. Quel denaro servirà per offrire una possibilità a giovani fra i 14 e i 17 anni che hanno già avuto problemi con la giustizia e che ora sono messi alla prova. Il campo estivo sarà utile per spiegare a questi ragazzi che un altro percorso è possibile, perché è già lì, davanti ai loro occhi».

Quante persone si aspetta in piazza al suo fianco?
«Innanzitutto saranno al fianco del mio Arturo, perché anche lui parteciperà alla corsa che non è competitiva e sarà alla portata di tutti: da piazza del Plebiscito a piazza Vittoria e ritorno, poco più di una passeggiata. E comunque non saprei dire quante persone mi aspetto. Ovviamente spero che saranno in tanti a stare al nostro fianco, ma anche se fossero pochi non cambierebbe nulla: sarebbero comunque persone decise a contribuire alla battaglia contro la violenza e le ringrazierò una ad una».

A chi è aperta la manifestazione? Sarà una gara destinata ai fanatici della corsa?
«Macché fanatici, è una giornata aperta a tutti: ragazzi e adulti, scolaresche e mamme col passeggino, bambini delle elementari e nonni che andranno pian pianino. L'importante è esserci».

Dal giorno dell'aggressione a suo figlio, lei è diventata un personaggio pubblico. Sa che anche in questo caso ci sarà chi dirà «ancora la mamma di Arturo?», «ma è sempre pronta a mettersi in mostra?».
La signora Iavarone sorride con amarezza. «Lo so, lo so bene che pioveranno altre critiche. Ma vuol sapere la verità? Non mi fanno nessun effetto. Io sono una mamma che s'è vista crollare il mondo addosso, che ha vissuto il dolore e la disperazione e da quel momento ha deciso di fare il possibile perché altre mamme non vivano gli stessi terribili momenti. Ho trasformato la mia vita per portare avanti un messaggio di condivisione della lotta alla violenza. Se qualcuno ha voglia di criticarmi, faccia pure. A me non interessa apparire, la cosa determinante è il messaggio che deve passare: tutti insieme possiamo sconfiggere la violenza».

Cosa pensa Arturo di tutto questo?
«Arturo ha vissuto sulla sua pelle il dolore: quello del corpo e quello dell'anima. È entusiasta del mio impegno però mi ha confidato che l'anno prossimo, dopo la maturità, vorrebbe andare a studiare fuori, lontano da Napoli. Io vorrei che cambiasse idea, che capisse che Napoli non è una città dalla quale fuggire. Nessun ragazzo dovrebbe desiderare di lasciare questa città...».
 
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