Consegne a domicilio, la sfida di Napoli: «Dopo il 13 aprile via il divieto»

Consegne a domicilio, la sfida di Napoli: «Dopo il 13 aprile via il divieto»
di Gennaro Di Biase
Mercoledì 8 Aprile 2020, 09:30
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Resta al centro del dibattito la questione food delivery in Campania, unica Regione in Italia in cui il cibo d'asporto è vietato in regime di Covid. Dopo le richieste dei giorni scorsi di Confcommercio e Confesercenti e la discesa in campo dei big della ristorazione napoletana come Salvo e Sorbillo, associazioni e ristoratori campani rinnovano la proposta di un confronto con la Regione, che ha espresso l'intenzione di «non fare marcia indietro sull'ordinanza».
 


Non si è arrivati allo scontro aperto tra associazioni di categoria e Palazzo Santa Lucia, vista l'importanza della posta sanitaria in gioco: evitare l'escalation del contagio tra Napoli e Campania è la priorità di tutti, ma il pressing dei ristoratori al collasso si fa sempre più intenso. Confesercenti e Confcommercio in coro individuano ora una deadline per la riapertura della filiera del cibo d'asporto: «Il 13 aprile, giorno della scadenza dell'ordinanza del 28 marzo» che ha imposto il lockdown totale al food delivery. Sono 1500 i ristoratori napoletani dell'asporto (3000 in Regione) tra quelli iscritti a Confcommercio. Diecimila invece i ristoratori (anche non specializzati) associati a Confesercenti. Difficile fare una stima esatta a caldo, ma è certo che centinaia di queste aziende non riapriranno più. Just Eat, dopo l'intervento su queste pagine del Country Manager italiano Daniele Contini che ha espresso «disponibilità a riprendere il servizio in Campania», ha ribadito ieri di aver introdotto nel resto d'Italia «la consegna Contactless, realizzata a distanza di almeno un metro e senza contatti diretti» e di proseguire con «la continua consegna di kit contenenti mascherine e guanti per i riders».

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Tra le argomentazioni della Regione al lockdown del food delivery emerge la mancanza di disciplina, tra Napoli e provincia, della consegna del cibo d'asporto. Perciò, la soluzione proposta dalle associazioni di categoria a Palazzo Santa Lucia consiste nel «food delivery garantito dalle app», cioè affidato solo alle grandi piattaforme di consegna a domicilio, capaci di mantenere un elevato standard di igiene. «Dobbiamo studiare una modalità per dare respiro alle imprese - dichiara Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania - Fino al 13 c'è il blocco, ma dopo tale data proponiamo di consentire a queste attività di riaprire garantendo, sia per i lavoratori che per i clienti, la massima sicurezza sanitaria e l'assoluto rispetto dell'igiene. Come? Eliminando l'asporto privato e utilizzando esclusivamente Just Eat, Uber Eats, Glovo, Delivero' eccetera. Si frenerebbe così anche lo sperpero delle scorte in magazzino». Quanto a Confcommercio, sono già centinaia i ristoratori che hanno aderito all'appello lanciato l'altro giorno da Fipe: Sorbillo, Antica Pizzeria da Michele, 50 Kalò, Di Matteo, Pepe in grani (Caserta), Poppella, Casa Infante, Antica pizzeria Port'Alba, Carraturo, La Notizia, Mattozzi, Gorizia, solo per citare i più noti: «Insieme alla Regione possiamo individuare un percorso ancora più garantista e sicuro di quello previsto dalle norme attuali - spiegano il direttore generale di Confcommercio Campania Pasquale Russo e il presidente di Fipe Confcommercio Massimo Di Porzio - Se la Regione fosse disponibile ad aprire un dialogo, la sicurezza delle consegne andrebbe messa davanti a ogni cosa. Se in Campania c'è l'esigenza di procedure più rigide sul food delivery ci adegueremo. Ma serve riaprire il settore dopo il 13 aprile».
 
 

Anche Giuseppe Vesi, un altro vip della pizza napoletana scende in campo contro il divieto: «Forse qui c'era qualche motivazione in più per il blocco, visto il modo rudimentale di organizzare il delivery in Campania.
Ma ci si poteva organizzare in modo diverso, e multe eventuali, per non discriminare il servizio rispetto al resto d'Italia. Un paradosso amaro che la pizza sia ferma solo a Napoli: è un settore trainante è per l'economia regionale, con 9mila pizzerie e 60mila posti di lavoro. Potremmo lavorare con le saracinesche abbassate e in modo tale che all'interno dei locali ci siano giusto il pizzaiolo, il fornaio e un cassiere. Noi usiamo già i rider delle grandi piattaforme, che altrove stanno fornendo un servizio di qualità. Il lockdown del cibo d'asporto, se fatto solo qui, è ingiustificato. Se dopo il 13 aprile dovesse continuare il divieto potrei procedere per vie legali. Se non lo faccio io contro la Regione, lo faranno i fornitori contro di me. Ho 8 locali in Campania, e 3 di questi non riapriranno più, dopo il Covid: a Caserta, alla Riviera di Chiaia e a Villaricca». 

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