Covid a Napoli: assalto al Cotugno, malati soccorsi nelle auto. «Sono centinaia e hanno tutti la polmonite, i posti letto non bastano»

Covid a Napoli: assalto al Cotugno, malati soccorsi nelle auto. «Sono centinaia e hanno tutti la polmonite, i posti letto non bastano»
di Ettore Mautone
Sabato 7 Novembre 2020, 23:00 - Ultimo agg. 8 Novembre, 09:08
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Pandemia: il virus è ovunque e il Cotugno assediato, giorno e notte: se la Campania regge l’onda d’urto di un virus che porta in ospedale una media di 50 malati al giorno (sulle migliaia di positivi registrati al tampone ogni 24 ore) lo si deve a questo ospedale di frontiera che tratta solo malattie infettive. Sono oltre 300 i malati ricoverati, almeno una sessantina oltre la capienza massima che ormai deborda in un’intera ala del vicino Monaldi. Le auto le vedi arrivare da lontano, a zig zag nel flusso che sale da via Leonardo Bianchi. Veloci al cancello dove la guardia ha appena il tempo di scrutare, poi il grande busto di San Gennaro arrivato con la prima ondata. C’è una lunga fila al Cotugno, macchine e ambulanze. Un infermiere con un carrello e l’ossigeno gira tra i mezzi. La bombola, l’anziano signore che è riverso in macchina, se l’è portata da casa, sistemata nell’incastro dell’abitacolo. L’ossimetro al dito segna 90, troppo basso per attendere. Arrivano gli inservienti e con una barella lo trasportano dentro. Nel pronto soccorso possono entrare solo i pazienti. Uno sguardo per salutarsi e via. Dietro i vetri sagome bianche armeggiano per gli accessi venosi. Si deciderà se il malato deve essere assistito in semintensiva e con una maschera a ossigeno o intubato. L’idea di dover essere sedato in coma farmacologico per immettere direttamente nei polmoni l’ossigeno che serve per respirare terrorizzerebbe chiunque.

 


Le storie dei contagi? Dicono poco e tutto: i racconti frammentati ma sempre uguali: amici, parenti, cene, la palestra, i nipoti asintomatici, i figli che l’hanno preso al lavoro e poi trasmesso ai vecchi di casa. Due anestesisti fanno i turni giorno e notte in pronto soccorso affiancando gli infettivologi. L’incubo è riuscire a trovare un posto letto. Sono centellinati, ovunque. Eppure gli spazi, al Cotugno, sono enormi. Sono 240 letti nelle stanze del vecchio plesso nelle grandi corsie che separano i cinque piani e altri 60 nel nuovo corpo G: iniziato negli anni Novanta, doveva servire per la cura dei malati di Aids. Terminato da un anno ospita tutti in letti a pressione negativa e un reparto di Terapia intensiva che raddoppia la storica unità del vecchio plesso. «I malati sono centinaia, hanno tutti la stessa patologia, polmonite e insufficienza respiratoria» - dice Carolina Rescigno, un clinico esperto che ha visto passare in quei letti la Suina, l’Aids, le meningiti, la Tubercolosi, e oggi il Covid.

Non è facile dare un volto ai malati. È un momento difficile per tutti. I posti si liberano piano piano mentre gli arrivi sono continui. «I pazienti sono lì, lontani, nei letti. Li curiamo, sono tanti. Tutti in ossigenoterapia. Non si vede la via di uscita - conclude la dottoressa - in primavera con il lockdown sapevamo che sarebbe finita in estate. Ora abbiamo c’è un lungo inverno».

 

Gli arrivi incessanti hanno piegato il morale di Giuseppe, medico del Cardarelli, da mesi in prima linea. Anche qui le auto e le ambulanze sono in fila al pronto soccorso mentre sfila un enorme camion pieno di bombole di ossigeno. «Siamo stremati. Non si immagina l’angoscia che si prova ad ogni ambulanza o auto che arriva perché non sai come accogliere i pazienti. Arrivano a valanga. Se non si abbassa la curva dei contagi non ci sarà organizzazione che tenga». Così in tutti pronto soccorso della città e anche in tutti gli ospedali grandi e piccoli delle altre province campane. Dall’ondata epidemica di Covid 19 si salva, forse, solo il Sannio, il basso Cilento e alcune aree interne dove la ruralità distanzia naturalmente le popolazioni. A Napoli e provincia, invece, negli ospedali è il caos: sin dalla mattina di ieri, la notte precedente e questa appena trascorsa per i camici bianchi e per i malati è stato un incubo interminabile. «Vi prego, fate tutti un lockdown personale, privato, non dettato da norme, colori, ordinanze ma dettato da una scelta personale - dichiara all’Ansa il manager dell’azienda dei Colli Maurizio di Mauro tornato in servizio dopo una decina di giorni di quarantena dopo aver scoperto di essere positivo (asintomatico) in seguito a un tampone di screening - attualmente ci sono 12 postazioni box nel triage e due terapie intensive nel Pronto soccorso proprio per cercare di alleviare la situazione. Stiamo lavorando per reperire ulteriori posti letto». 



L’ospedale del Mare chiude a est il nostro viaggio: anche qui la fila infinta tra ambulanze e macchine, la gente disperata, l’umanità dolente e i camici bianchi avviliti. Nessuno sa più che fare, si tenta di spostare i malati nei reparti ma ogni paziente non resta meno di 10 giorni. L’ambulanza, il medico, il malato che non respira, l’ossigeno. Passano i giorni e la scena è sempre uguale. Così le ambulanze diventano un luogo di cura sicuro in attesa di una sistemazione migliore. E c’è chi poi arriva con Ictus e infarto. Bisogna seguire ed assistere tutti. La Campania è allo stremo. Il contagio è ovunque. Tutti ormai in famiglia o tra gli amici hanno almeno un malato. C’è a chi va bene e a chi va peggio. Se non cala la curva dei contagi non c’è sistema e organizzazione che tanga. La nota lieta dell’ennesima giornata difficile è la nascita del neonato n. 104, figlio di madre affetta da Covid, presso la ginecologia e neonatologia del Policlinico Federico II. 
 

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