Urla, zuffe e pizze fritte: così Napoli vive di notte. «Nessuno ci controlla»

Urla, zuffe e pizze fritte: così Napoli vive di notte. «Nessuno ci controlla»
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 8 Gennaio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 9 Gennaio, 09:32
6 Minuti di Lettura

Urla, almeno una trentina di ragazzi che organizzano gare podistiche sotto il colonnato dorico della basilica di San Francesco di piazza del Plebiscito, a due passi dalla prefettura. Assembramenti, zuffe, tintinnio di brindisi con bottiglie di birra, cori e canti ad altissimo volume che si alzano nell’aria gelida e si arrampicano fin sopra i vicoli dei Quartieri Spagnoli. È da poco passata la mezzanotte nella piazza simbolo di una Napoli che, teoricamente, dovrebbe ritrovarsi nel coprifuoco della zona rossa. Una camionetta dell’Esercito si avvicina, ma agli scugnizzi non sembra importare più di tanto. Nulla di eclatante rispetto alle rapine di questi giorni: dal motorino sottratto al rider all’assalto notturno alle guardie giurate minacciate all’ospedale Vecchio Pellegrini. I militari di piazza del Plebiscito ci dicono che hanno riferito alle forze dell’ordine degli assembramenti sotto il colonnato, ma dopo quasi un’ora non arriva neppure una volante. Nel viaggio notturno per la città, Napoli più che senza controllo sembra una città stanca di controllarsi, controllare e farsi controllare dopo quasi un anno di pandemia. Una presenza, almeno figurativa, la si nota solo nei pressi della stazione di piazza Garibaldi, giusto per monitorare qualcuno dei soliti tafferugli tra clochard. Tutto intorno girano ragazzi in motorino, due in sella, quasi tutti senza casco: potrebbero essere notati come mosche bianche nella città semideserta del coprifuoco, eppure nessuno ci fa caso o forse questa normalità appare persino rassicurante perché riporta alla mente la città e le sue piccole illegalità prima della pandemia quando si mischiavano tutte insieme. E poi auto di coppiette e giovanissimi che a gruppi di quattro girano in macchina senza mascherina e che tornano da chissà dove o stanno andando chissà in quale posto. «Tanto nessuno ci ferma» ammettono candidamente, a dispetto delle uniche eccezioni consentite di necessità e urgenza. Controlli non ci sono nei negozi aperti, un alimentari è ancora operativo a ridosso della mezzanotte persino a venti metri dall’ingresso della stazione dove ci sono almeno una decina di poliziotti e i militari di “Strade Sicure”: qui, tanto, tutto è tollerato. In fondo questa Napoli dei coprifuoco non è più la tanto decantata città dell’amore o del bene, ma sembra di più che faccia come sua regola aurea quella del cosiddetto «male minore». Qui lo Stato non opera per far rispettare delle regole, ma per evitare che siano infrante leggi più importanti. E quindi il titolare del negozietto aperto si giustifica dicendo che «altrimenti devo andare a rubare», i mendicanti in piazza dicono lo stesso e le ragazzine che girano in auto spiegano che «dopo tanti mesi in casa, amma parià», devono divertirsi, secondo declamazione in neolingua partenopea. 

 

Sono le 22.30 a Scampia, nella notte di un 6 gennaio in zona rossa. In via Labriola, la strada che costeggia le Vele piene di buchi e che quindi non portano da nessuna parte, c’è poca gente in giro. Passa una volante della polizia, ma non fa caso a noi. Chi invece si premura di farci sapere di averci notato è un uomo in una Fiat Punto bordeaux che si apposta in una strada laterale a fari spenti per osservare i nostri movimenti. Il controllo del territorio da parte dell’anti-Stato appare efficiente. Sulla strada, subito dopo lo slargo creato dal vuoto dell’ultima delle Vele abbattute, c’è un furgoncino dello street food illuminato. «Come mai siete aperti? Lo sapete che non potreste?» chiediamo. A gestire la pizzeria itinerante un uomo, un ragazzino e una donna sui 30 anni, occhi azzurri grandi e uno sguardo pieno di elettricità: per parlarle vanno toccati i fili giusti se non si vuole prendere una scossa da alta tensione. «Ma ora - dice - se voi ne scrivete finiamo di lavorare. Che dobbiamo fare? Dobbiamo andare a rubare per campare?». Quando chiediamo se solitamente arrivano controlli i tre dicono di sì, ma loro hanno «tutte le carte in regola». Eppure, a quell’ora nell’Italia a zona rossa, non potrebbero esserci. Vale, per lo Stato, la legge del «male minore»: meglio chiudere un occhio per chi prova a lavorare onestamente vendendo pizzette invece di dare manovalanza alla malavita. Andiamo via, la Punto accende i fari, forse in segno di saluto.

Da Scampia andiamo verso Calata Capodichino, teatro pochi giorni fa dell’assalto al rider.

Sono le 23.30 e, percorrendo corso Secondigliano c’è qualche pizzeria aperta e un’auto della polizia, ma è ferma all’esterno del locale commissariato. Decine di macchine in giro. Passa pure qualche rider con il portavivande al posto del portapacchi. Fermiamo uno di questi, Maurizio, per chiedergli se non ha paura ad andare in giro. La sua risposta genera un misto di incredulità e, forse, ammirazione per la genialità dello stratagemma usato. «Non faccio il rider, mi sono procurato il portavivande così posso girare e le forze dell’ordine non mi fermano».

Video

Più avanti, verso piazza Ottocalli, al semaforo c’è un lavavetri. Si avvicina nonostante la pioggia che renderebbe inservibile il suo lavoro, si chiama Ahmad e viene dal Marocco e racconta la sua storia. «Lavoravo come giardiniere - dice - ma mentre tagliavo un albero mi sono reciso i tendini del braccio, ora non posso fare più nessun lavoro. Da un anno dormo in stazione. Il titolare della ditta dove lavoravo prima mi ha fatto dichiarare in ospedale che mi ero fatto male per conto mio e poi mi ha cacciato». Più avanti, a piazza Garibaldi, sono tanti gli stranieri come Ahmad che vagano senza meta. Spiegano che devono elemosinare almeno 10 euro per non dormire in stazione e andare a ripararsi a pagamento in qualche appartamento della zona che fa da affittacamere. Stanzette e stanzoni che rendono impossibile qualsiasi precauzione sul fronte dei contagi da Covid, ma pure questo è tollerato e rappresenta il «male minore» rispetto al dormitorio che è ora diventata la stazione centrale. Gli unici a lavorare nelle strade notturne di Napoli in zona rossa sono netturbini e tassisti. Questi ultimi, allo stazionamento di piazza Garibaldi o sul corso Umberto, spiegano che lavorano un giorno sì e un giorno no. Dieci ore - spiega Pasquale - possono fruttare al massimo 20/30 euro al giorno, il minimo indispensabile per sostenere le spese della macchina, ma c’è chi si indebita perché deve ancora scontare di pagare la licenza comprata. «Un anno fa lavoravamo alla grande e - dicono - i tanti turisti ci facevano fare una vita agiata. Ora siamo nella miseria più assoluta».

Pochi controlli, piccole sacche di comune illegalità. Napoli di notte appartiene più che altro ai compattatori bianchi della nettezza urbana, sono a decine e lavorano senza sosta. È ormai l’una passata con la pioggia che lava e rende lucenti asfalto e basoli, l’anomalia delle poche auto in giro per una città che fino a un anno fa viveva soprattutto di notte, ora Napoli assomiglia così ad una delle tante altre città italiane che si spengono nelle ore buie. Poi la voce dei creaturi sale dal colonnato di piazza del Plebiscito e, quelle voci, sembrano davvero il male minore nello scasso che ha fatto la pandemia alle vite di tutti noi. Il grido di un ragazzo che giunge dal colonnato sembra dire «la piazza è mia», ma qui non è Nuovo Cinema Paradiso. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA