Rider picchiato e rapinato a Napoli, la mamma del baby calciatore arrestato: «Mi vergogno di mio figlio, vorrei abbracciare Gianni»

Rider picchiato e rapinato a Napoli, la mamma del baby calciatore arrestato: «Mi vergogno di mio figlio, vorrei abbracciare Gianni»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 6 Gennaio 2021, 12:00 - Ultimo agg. 13:48
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Ha davanti a sé le foto scattate su un campetto di periferia, il computer usato per la dad - al secondo anno del migliore istituto tecnico di tutta la zona, dice con orgoglio -, poi pensa al provino fissato con Isernia calcio, che avrebbe potuto consentire al figlio di crescere in una società diversa e di coltivare il sogno di sbocciare come atleta in un campo di calcio. Ore infernali in famiglia. C'è una donna che ripensa a quel video e piange. Si chiama Giuseppina ed è la mamma di uno dei picchiatori del rider, una signora che rivendica con determinazione la differenza rispetto al contesto criminale che condiziona lo sviluppo di un intero ambiente, ma che non concede sconti al suo ragazzo: «Deve pagare, nessuno sconto, mi auguro che abbia la possibilità di rifarsi una vita». Intervistata da Il Mattino, la donna insiste su un punto: «Non è possibile. Mi vergogno, sono desolata. Siamo sospesi in una bolla di vergogna, chiedo umilmente scusa alla famiglia del rider, vorrei abbracciarlo e chiedere perdono. Mio figlio ha sbagliato, non posso guardare quella scena, quelle immagini mi hanno affranto. Certo, è giusto che paghi, ma ora più che mai deve essere aiutato: fate in modo che continui a studiare, che continui a fare sport, che non venga risucchiato definitivamente in questo incubo nel quale viviamo tutti quanti noi».

Case Celesti di Secondigliano, in passato teatro della faida del clan Di Lauro contro gli scissionisti, c'è la casa dove abita uno dei quattro minori arrestati per il linciaggio del rider Gianni Lanciato.

Non solo camorra e traffico di droga, da queste parti. Anzi. C'è tanta umiltà, vita ordinaria, persone comuni che vivono le difficoltà di sempre, lavorando in modo onesto. Tra questi spicca la storia di Raffaele, uno dei picchiatori. È uno dei primi a finire in manette, dopo aver confermato una storia che ora è al vaglio degli inquirenti della Procura minorile. Difeso dal penalista Carlo Ercolino, il minore ha raccontato la sua notte infernale nel branco di Secondigliano a caccia di una preda da rapinare: «Abbiamo fatto una partita a carte, poi siamo andati a prendere un gelato, ci siamo intrattenuti all'esterno della gelateria, perché dentro non si poteva, sono andato dalla mia fidanzata, poi mi hanno dato un passaggio in sella allo scooter... ed è iniziato quella storia», avrebbe detto agli investigatori della Mobile.

Ha un profilo diverso dagli altri: i genitori sono incensurati e lavorano in modo onesto, Raffaele, che va a scuola, fa sport; la sorella si sta laureando all'accademia di moda. Una famiglia borghese, che viene risucchiata nel gorgo della peggiore storiaccia cittadina offerta dalla cronaca di questi mesi. Un brutto record, una pagina orrenda soprattutto per la mamma di Raffaele, immortalato mentre prende a calci e pugni un uomo indifeso, il lavoratore precario di 50 anni depredato dello scooter con cui consegnava pizze e cornetti fino a tarda notte.

Video

Signora cosa prova di fronte a quella scena?
«Vergogna. Dolore. È la stessa sensazione che proviamo tutti in famiglia, parlo anche per mio marito, che è un agente di commercio che non ha mai avuto problemi con la giustizia. Siamo incensurati, persone oneste, lavoratori. Ho una figlia diplomata, che ama la bellezza dell'arte, che si sta laureando qui a Napoli frequentando una accademia di arte e moda. Mi creda, non c'entriamo con Gomorra, noi non viviamo in una fiction, paghiamo le tasse e rispettiamo le regole».

Però le ricordo che suo figlio la notte tra il primo e il due gennaio era in strada e non a casa. Da genitore avrebbe dovuto impedirlo, era un giorno da coprifuoco in una zona rossa, dove siamo stati tutti a casa per rispettare le norme anti Covid.
«La interrompo un attimo. Mio figlio è adolescente, mi aveva detto che andava a casa della fidanzatina. Non me la sono sentita di impedirglielo, mi sembrava una cosa innocua. Ho provato a comprendere che in questo periodo non è facile rinunciare alla sfera sociale, ho pensato ai suoi sentimenti e non mi sono imposta. Non l'ho costretto a rimanere l'ennesima serata in casa, per giunta in un giorno di festa».

Poi che cosa è successo?
«Quello che è accaduto lo devono appurare le forze dell'ordine, noi non lo sappiamo. Il nostro avvocato ci ha spiegato che è stato fermato per rapina e ricettazione. Poi ho visto quelle immagini e siamo sprofondati in un baratro».

Come trascorre le sue giornate suo figlio?
«Va a scuola. È iscritto all'istituto tecnico professionale Vittorio Veneto, che è una eccellenza qui a Secondigliano, un presidio per centinaia di famiglie. Non è una cima, ma segue e frequenta le lezioni, segue l'esempio della sorella, sa che deve diplomarsi. Ha la sufficienza piena in tutte le materie, tutte le mattine è in classe, almeno fino a quando è stato possibile. Poi, è iniziata la didattica a distanza ed è stato comunque sempre presente. Se non è uno studente modello, è solo perché ama il calcio. Mi dicono che è una promessa e qui in famiglia abbiamo sempre sognato per lui che potesse affermarsi in questo sport, pensi che lunedì aveva un provino con il settore agonistico di una squadra di Isernia. Faccia le sue verifiche, è tutto vero quello che le sto dicendo».

Eppure uno sportivo non se ne va in giro la notte con un branco di nullafacenti, per giunta in un orario non consentito.
«Guardi che non ho alcuna intenzione di giustificarlo. Mi limito a dire che mio figlio, da sportivo, non fuma e non beve alcol, non si droga. Cosa sia accaduto lo scorso week end in Calata Capodichino, siamo i primi a volerlo sapere. Ora il mio pensiero va a quel lavoratore accerchiato, picchiato e rapinato».

Cosa sente di dire al rider picchiato anche da suo figlio?
«Qui in famiglia siamo sotto choc. Chiediamo umilmente perdono a lui e ai suoi parenti. Lo abbiamo visto in televisione, è una persona perbene, un lavoratore come mio marito. Lontano dalle telecamere, vorremmo abbracciarlo e chiedergli scusa per quello che ha fatto nostro figlio. Lo faremo in modo discreto, appena ci verrà data la possibilità, appena avremo messo a fuoco l'incubo nel quale siamo caduti per questa storia».

Ora suo figlio è in stato di fermo, rischia di finire in carcere, in attesa di un processo per rapina e ricettazione. Non teme una lunga detenzione?
«Se ha sbagliato deve pagare. Il vero perdono passa attraverso momenti difficili come questi che stiamo vivendo, ma rivolgo un appello a tutti, a difesa di un principio elementare, sacrosanto». 

Quale?
«Quello di non vanificare quanto abbiamo fatto in questi anni. Ha sedici anni, ha un percorso di studi regolare, mi auguro almeno che gli venga consentito la possibilità di continuare a studiare, di non perdere gli anni scolastici. Mi auguro che possa continuare a giocare a calcio, che possa coronare il suo sogno di fare sport a livello agonistico. E magari lasciare un contesto così difficile».

A cosa fa riferimento?
«Penso al luogo in cui viviamo, al contesto. Non voglio giustificare nessuno, ripeto, mio figlio dovrà scontare il proprio debito con la giustizia e lavorare per un riscatto individuale, ma credo che il contesto ambientale in cui viviamo possa aver influito. Dovrà pagare, possibilmente lontano da questo posto». 

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