Napoli, fidanzati morti a Secondigliano. Intervista al papà Alfredo Nocerino: «Distrutto, ma aiutiamo i genitori della ragazza»

La salma di Vida rifiutata in Iran

Napoli, fidanzati morti a Secondigliano
Napoli, fidanzati morti a Secondigliano
di Giuliana Covella
Martedì 19 Marzo 2024, 23:04 - Ultimo agg. 20 Marzo, 16:55
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«Ormai sono morto dentro, ma devo andare avanti per mio figlio». Alfredo Nocerino, 65 anni, titolare della pizzeria-trattoria Partenope di cui è socio insieme a un’altra persona, è affranto dal dolore per la perdita del figlio Vincenzo Nocerino, morto insieme alla fidanzata di origine iraniana la notte di sabato 16 marzo a Secondigliano. Non si dà pace papà Alfredo per la tragedia che ha sconvolto la sua vita. Quella vita che con tanti sacrifici aveva costruito, giorno dopo giorno, insieme al suo adorato Vincenzo. Un ragazzo a cui ha fatto non solo da padre. «Il nostro legame era molto di più, perciò ora soffro tanto», ribadisce senza riuscire a trattenere le lacrime.

 

Se la sente di raccontare cosa è accaduto sabato mattina?
«Premesso che faccio fatica a parlarne, forse solo ora, dopo pochi giorni, riesco a farlo.

So che devo riprendermi ma è dura. Ho davanti agli occhi quell’immagine che ormai rivivo ogni notte».

Quale?
«Erano le 8.30 più o meno, quando scesi in garage, dopo essermi accorto che Vincenzo non era tornato a casa. La sera prima lui e Vida, la fidanzata, erano andati a una festa con amici a Caserta. Mi sono meravigliato che non mi avesse avvisato. Così ho sollevato la saracinesca del box e sono corso vicino all’auto che era parcheggiata, una Panda rossa di mia proprietà».

Qual è la scena che si è ritrovato davanti agli occhi?
«Non potrò mai dimenticarla. Erano stesi, lui sul sedile davanti, lei dietro. Erano vestiti, voglio precisarlo perché qualcuno ha detto che erano nudi. Sembrava dormissero. Così ho cercato di scuotere mio figlio e per rianimarlo l’ho preso finanche a schiaffi urlando il suo nome. Ma nulla. Il silenzio assoluto. Di fronte a nessuna reazione da parte di entrambi ho realizzato che erano morti e ho chiamato subito i soccorsi. Sono uscito in strada e credo che le mie grida abbiano svegliato tutto il rione».

Chi era Vincenzo?
«Un ragazzo pieno di gioia, che non si avviliva mai, che mi sosteneva. Anzi, ci sostenevamo l’un l’altro. Non era un figlio, era di più. Vincenzo era mio padre, mio fratello, il mio migliore amico. L’ho cresciuto da solo. Gli ho fatto da papà e da mamma».

Vincenzo non aveva la mamma?
«Sì, ma non ci siamo mai sposati e per problemi legati al suo stato psichico avevo ottenuto l’affido esclusivo di mio figlio. Lei quindi non viveva più con noi».

Suo figlio oltre a lavorare come webdesigner l’aiutava in pizzeria?
«Sì, veniva nel locale di Fuorigrotta il venerdì e il sabato. Ma sembravamo lui il proprietario e io il dipendente, a dimostrazione del rapporto straordinario che avevamo. Con lui spesso veniva anche Vida, brava e intelligente. Si volevano bene e insieme erano belli».

Lei ha raccolto l’appello di Ahmad, un amico di Vida, per riabilitare per così dire l’immagine della ragazza che è stata distorta dalla stampa iraniana. Un gesto encomiabile, dato il grande dolore che lei stesso sta vivendo. Perché lo ha fatto?
«Perché lei veniva a casa nostra, era come una figlia per me. Perché i suoi genitori ora stanno provando il mio stesso dolore, solo che non hanno ancora la certezza di riavere la salma in Iran. Dobbiamo aiutarli».

Come sta vivendo questi giorni in attesa dell’autopsia?
«Da quel giorno sono morto anch’io insieme a mio figlio. Anche una semplice passeggiata assieme mi regalava gioia. Ora non vivo più. Anche se sono circondato dall’affetto di mia sorella, di mio fratello che è tornato dall’America per starmi vicino e dei tanti amici. Ma non ho più nemmeno la forza di tornare in quella casa dove eravamo felici».

Ora cosa farà?
«Dopo l’autopsia organizzeremo i funerali, lo faremo cremare. Spero solo siano finiti gli ostacoli burocratici di questi giorni».

A cosa si riferisce?
«Sono dovuto andare in tribunale per un certificato relativo alla cremazione, perché non è stato possibile delegare altri. Com’è possibile che non si comprenda il dolore di un padre».

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