Ha saputo la notizia mentre stava impastando la pizza per i suoi ragazzi. Quasi non ci credeva. Sua moglie, che per prima ha risposto al telefono al Quirinale, ha pensato a uno scherzo. Poi ha pianto. Il capo dello Stato lo ha insignito del titolo inatteso.
Giuseppe Lavalle, 78 anni, napoletano di Fuorigrotta, cuoco nel carcere minorile di Nisida è Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica. «Per la sua preziosa e generosa opera di assistenza e supporto» ai baby-detenuti. Ma qui, tra le sbarre e i fornelli, continuano tutti a chiamarlo zio Peppe o don Peppe, come un parente stretto o un sacerdote in missione. «Cerco di far sentire questi giovani a casa, in famiglia», svela la sua ricetta. In qualche modo, li prende per la gola. «Cucino per loro graffe e focacce, cibi appetitosi quasi mai serviti in un istituto penitenziario: così una pizza bianca l'ha assaggiata il presidente Sergio Mattarella, a settembre scorso in visita nella struttura. Credo sia rimasto colpito».
Lo chef partenopeo sfama 200 figliocci, ma garantisce anche un pasto a 100 senzatetto che ogni venerdì sera si radunano alla stazione di Campi Flegrei. È un volontario della comunità di Sant'Egidio, da 40 anni la sua vita si intreccia con quella degli altri.
«Il direttore del carcere, Gianluca Guida, un uomo straordinario che ha migliorato questo posto, mi descrive come un mezzo ragazzo di strada», confida. «Provengo da una famiglia umile, mio padre era carpentiere: ma non ho mai pensato di fare qualcosa o arricchirmi o assumere una posizione diversa da quello che sono. I titoli non mi appartengono, anche se il riconoscimento del capo dello Stato mi fa piacere, soprattutto per la motivazione. Perché non ho niente, e ho tutto: una famiglia unita». Sua moglie Giuseppina lo segue nelle attività per i più fragili. E lo stesso fa sua figlia Emilia, che dice del padre: «È un supereroe. Non si è fermato neanche con il Covid, un uomo di quest'età, ancora con tanta forza, è in grado di smuovere qualsiasi cosa. Le coscienze. È come se dicesse agli altri: anche io posso fare qualcosa».