Peppe, cuoco nel carcere di Nisida ed eroe civile scelto da Mattarella

Peppe, cuoco nel carcere di Nisida ed eroe civile scelto da Mattarella
di Maria Pirro
Domenica 14 Novembre 2021, 14:56 - Ultimo agg. 25 Marzo, 11:15
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Ha saputo la notizia mentre stava impastando la pizza per i suoi ragazzi. Quasi non ci credeva. Sua moglie, che per prima ha risposto al telefono al Quirinale, ha pensato a uno scherzo. Poi ha pianto. Il capo dello Stato lo ha insignito del titolo inatteso.

Giuseppe Lavalle, 78 anni, napoletano di Fuorigrotta, cuoco nel carcere minorile di Nisida è Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica. «Per la sua preziosa e generosa opera di assistenza e supporto» ai baby-detenuti. Ma qui, tra le sbarre e i fornelli, continuano tutti a chiamarlo zio Peppe o don Peppe, come un parente stretto o un sacerdote in missione. «Cerco di far sentire questi giovani a casa, in famiglia», svela la sua ricetta. In qualche modo, li prende per la gola. «Cucino per loro graffe e focacce, cibi appetitosi quasi mai serviti in un istituto penitenziario: così una pizza bianca l'ha assaggiata il presidente Sergio Mattarella, a settembre scorso in visita nella struttura. Credo sia rimasto colpito».

Lo chef partenopeo sfama 200 figliocci, ma garantisce anche un pasto a 100 senzatetto che ogni venerdì sera si radunano alla stazione di Campi Flegrei. È un volontario della comunità di Sant'Egidio, da 40 anni la sua vita si intreccia con quella degli altri.

A lavoro e fuori. E coinvolge pure i reclusi nella preparazione dei cestini da consegnare alla ferrovia. Ogni giorno ripete loro che possono cambiare, rendersi utili e sentirsi in pace con se stessi. Quindi, gli assegna qualche compito perché imparino un mestiere. «Curo un laboratorio di rosticceria a Nisida; un altro, di pasticceria, è seguito da un mio collega: siamo in tanti a fare cose dettate dal cuore, ce la mettiamo tutta perché anche uno solo possa farcela. Certo, il riconoscimento fa piacere». Il più importante arriva, però, da tanti ex allievi. «Salvatore adesso abita in Germania, mi scrive». Poi ci sono Bruno o Victor, Samir, ospitati durante le libere uscite nell'appartamento non lontano dallo stadio. In una cartellina lo chef conserva biglietti di auguri ricevuti a Natale, cuori disegnati, frasi di ringraziamento. Destini incrociati, forse non per caso. 

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«Il direttore del carcere, Gianluca Guida, un uomo straordinario che ha migliorato questo posto, mi descrive come un mezzo ragazzo di strada», confida. «Provengo da una famiglia umile, mio padre era carpentiere: ma non ho mai pensato di fare qualcosa o arricchirmi o assumere una posizione diversa da quello che sono. I titoli non mi appartengono, anche se il riconoscimento del capo dello Stato mi fa piacere, soprattutto per la motivazione. Perché non ho niente, e ho tutto: una famiglia unita». Sua moglie Giuseppina lo segue nelle attività per i più fragili. E lo stesso fa sua figlia Emilia, che dice del padre: «È un supereroe. Non si è fermato neanche con il Covid, un uomo di quest'età, ancora con tanta forza, è in grado di smuovere qualsiasi cosa. Le coscienze. È come se dicesse agli altri: anche io posso fare qualcosa».

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