Laura, l'angelo custode degli ultimi: «Natale insieme è il dono più bello»

Laura, l'angelo custode degli ultimi: «Natale insieme è il dono più bello»
di Maria Pirro
Lunedì 21 Dicembre 2020, 11:00 - Ultimo agg. 11:10
5 Minuti di Lettura

Sembra confondersi tra gli invisibili nella notte più buia, con il giubbotto nero e la mascherina, dello stesso colore, che lascia intravedere solo gli occhi, la fronte è coperta dal ciuffo un po' disordinato. Tutte le settimane, per tre giorni durante la pandemia (il martedì, il venerdì e la domenica), Laura Amideo, 48 anni compiuti in un soffio, da più della metà della sua vita volontaria della Comunità di Sant'Egidio, parcheggia l'auto carica di pasti che arrivano da carcere di Nisida e dalle case della buona volontà, perché dall'inizio delle restrizioni anti-Covid è vietato prepararli in parrocchia. Quando solleva i pesanti contenitori blu, l'eterna ragazza attraversa la strada delle panchine occupate dai senza dimora davanti alla stazione dei Campi Flegrei, loro si avvicinano e smettono di fissare il vuoto. Finiscono per riconoscersi l'uno con l'altro, in un gesto che va oltre la mano tesa per consegnare o ricevere pane, acqua minerale, dolci e panzarotti, ma anche pasta al forno, polpettine e arancini cotti a puntino e talmente squisiti che è impossibile non chiedere il bis. Ma questo è merito del cuoco del gruppo, Peppe Lavalle, tenuto a distanza di sicurezza da sua figlia Emilia, dolcissimo angelo biondo della solidarietà che ne ha ereditato l'arte ai fornelli e la sensibilità superiore, e si occupa anche dalla distribuzione direttamente a domicilio, portando cioè alimenti e sorrisi come doni a quelli che dormono in macchina, sotto i palazzi, tra le palme di Fuorigrotta e le altre fermate della metropolitana. D'improvviso, Laura non è più dietro il bancone allestito sul marciapiede. Allunga il braccio, tocca una spalla e poggia la sua sull'altra, più alta e gracile, di un immigrato che ovviamente chiama per nome. Non solo del giovane di origine africana manda a memoria le richieste, le confidenze. Da anni, tanti anni ( 7 qui, con i cestini che sono triplicati, da 40 a 120), provvedere e fa sentire tutta la sua forza a una realtà di affetti tenuta insieme da un sentimento di amicizia sincero, oltre la carità cristiana. Umanità è la parola che potrebbe racchiudere il resto, l'impegno e la costanza rafforzati anche perché «tante onlus hanno sospeso le attività e la crisi è diventata più violenta», spiega, riferendosi alla pandemia. Tra gli ultimi che hanno bisogno di aiuto, ci sono dunque i poveri in fuga dalla miseria dei rispettivi Paesi più gli emarginati sopraffatti da difficoltà di diversa natura, droga e alcol, ma limitarsi a indicare le dipendenze è un errore. Si fermano giovani con una fame che non passa, che è il desiderio di prendere a morsi la vita, donne di polso che urlano per sé e per i compagni, prostitute ed ex prostitute, padri di famiglia dopo la separazione rimasti solo con una Panda, gli acciacchi dell'età e i debiti anziché lo stipendio a fine mese. Come racconta Loredana Navarra, altro volto familiare e uno dei pochi in coppia, seguita dal marito, «dare da mangiare è per un'occasione per avvicinare e conoscere queste persone che, per la loro condizione, tendono a nascondere i loro problemi». Questioni che non si dimenticano, ma entrano nella propria quotidianità, come l'assillo delle bollette da pagare o il menu del pranzo di Natale. Con il Coronavirus, le tradizioni sono, però, adattate ai tempi: «Per il 25 dicembre, visto che non ci si può sedere a tavola, è prevista una carovana con partenza Bagnoli diretta a Fuorigrotta e poi ad Arco Felice e non far sentire solo chi una casa non ce l'ha, quando a tutti è chiesto di restarci», riassume Laura, sollevando il paradosso. In testa, un furgone come slitta riempito di ogni bene grazie anche agli aiuti economici di chi non può partecipare direttamente. A bordo Silvia, Aurora, Agata, Rita, Patrizia, Milena.

Amideo provvede per lavoro all'assistenza agli anziani, l'intera sua vita è unita a quella degli ultimi per un episodio che ha segnato la sua giovinezza.

«Iniziai a chiacchierare con un senzatetto, ogni mattina lo incontravo lungo il tragitto verso scuola, nel centro storico», ricorda. «Distrutto dall'alcol, fu una lotta anche accedere in rianimazione per dirgli addio ed evitare che, come gli altri dimenticati già prima di morire, finisse in una fossa comune» aggiunge con emozione. «Dopo la sua scomparsa, ho scoperto che mi aveva lasciato un grande dono: non aver paura della povertà».

Secondo la Comunità di Sant'Egidio, che dal 1992 aiuta i clochard, quest'anno ne sostiene mille in città, la maggioranza stranieri, mentre le donne sono una minoranza. Per Laura e gli altri, mai numeri. «Sono persone di famiglia». O, almeno, della porta accanto che pure spesso resta chiusa nell'indifferenza come occhi che non vogliono guardare al di là del pregiudizio e perdersi negli altri per ritrovarsi, in fondo, dentro se stessi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA