I narcos di Napoli: viaggi «sicuri» con la cocaina nei sommergibili

Smantellata la rete del boss Bruno Carbone

Parte della droga sequestrata
Parte della droga sequestrata
di Dario Sautto
Martedì 16 Gennaio 2024, 23:01 - Ultimo agg. 18 Gennaio, 07:27
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La cocaina partiva dal Sud America in sommergibile «sotto acqua è 100%, ma ci sta solo da Panama». E, una volta stoccata a San Giovanni a Teduccio, veniva consegnata a Marano addirittura in ambulanza, per non destare sospetti, con l’autista vestito da soccorritore e con tanto di mascherina. Un’altra delle rotte della droga nell’orbita del boss dei Van Gogh Raffaele Imperiale è stata smantellata ieri, con il maxi blitz antidroga condotto dai carabinieri del comando provinciale di Napoli. Due gruppi distinti che facevano entrambi capo a Bruno Carbone, braccio destro di Imperiale, arrestato dopo una lunga latitanza a Dubai come il narcotrafficante nativo di Castellammare di Stabia. 

Sono 29 le persone finite in manette, quaranta in totale gli indagati e tra questi figurava anche il nome di Vincenzo Iannone, ucciso e dato alle fiamme lo scorso 16 luglio a Marano proprio per non aver pagato una partita di cocaina. Per questi fatti, sono in carcere Vittorio Principe, 49 anni, e Sabatino Sorrentino, 55 enne, entrambi di Marano e non coinvolti in questa inchiesta. 

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, hanno permesso di scoprire una complessa organizzazione che ruotava attorno alla figura di Carbone, che riceveva gli ordini mentre era latitante negli Emirati Arabi grazie alle chat criptate Sky Ecc ed Encrochat, grazie alle quali comunicavano anche i suoi familiari e addirittura sua madre.  

Il narcotraffico serviva a rifornire le principali piazze di spaccio dell’area a nord di Napoli: dai depositi di Marano e San Giovanni a Teduccio partivano le distribuzioni per Scampia, il Parco Verde di Caivano, Marianella, la Cisternina di Castello di Cisterna, e ancora Secondigliano, Giugliano, Marigliano.

A distribuire all’ingrosso, secondo l’Antimafia era Vincenzo Della Monica, mentre a finanziare l’organizzazione, con ruolo anche di cassiere, era il fratello Salvatore Della Monica, insieme a Michele Nacca.

Quest’ultimo, in segno di riconoscimento e fedeltà ai narcotrafficanti, si era fatto tatuare dietro la schiena tre iniziali: I, M e C, per Raffaele Imperiale, Raffaele Mauriello (anche lui catturato a Dubai) e Bruno Carbone. 

Un altro gruppo in affari, invece, sarebbe collegato a Simone Bartiromo (irreperibile), Roberto Merolla e Giovanni Cortese, con ramificazioni e rapporti in Puglia e Calabria, in particolare nella Locride, e alleanze anche all’estero in Albania e Turchia per l’import di hashish. Partite nel 2017 per arrivare alla cattura di Carbone, le indagini hanno permesso innanzitutto di scoprire il nickname «biaste» utilizzato sulle chat criptate. E dai vari nickname e soprannomi, in gran parte ispirati a calciatori o personaggi televisivi – da Maradona a Cavani, passando per il Gabibbo, l’immortale, il malese e vari nomi delle fiction – gli investigatori sono riusciti a districarsi, arrivando alle vere identità degli indagati, ritenuti gestori di un’importante rotta del narcotraffico, che passava obbligatoriamente per l’Olanda e la Spagna. 

Tra gli indagati, spunta il nome di Kevin Kurti (ancora latitante), intercettato dopo essere sfuggito ad un controllo con i cani in aeroporto. Era sua l’idea di puntare sui trasporti sottomarini perché aveva paura di essere scoperto in aereo. Un metodo, quello dei sommergibili, già riscontrato dalle unità militari statunitensi nel corso di un’operazione negli anni scorsi. Ovviamente, la maggior parte dei carichi di cocaina arrivava in provincia di Napoli a bordo dei classici camion oppure tramite corrieri che utilizzavano auto «con il sistema», un doppiofondo sotto i sedili anteriori che permetteva di nascondere perfettamente dieci chili di cocaina. 

Tra Marano e Quarto, invece, i carabinieri hanno riscontrato l’utilizzo di un’ambulanza per le consegne dal «polo nord», il deposito della cocaina, fino alle piazze di spaccio. Un mezzo di trasporto insospettabile: alla guida c’era un autista con tipico abbigliamento da soccorso e mascherina, ma a bordo nessun equipaggio del 118, nonostante fosse nei pressi del parcheggio di una ditta che si occupa di trasporti nel settore sanitario.

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Nel corso delle indagini, gli investigatori sono riusciti a violare le comunicazioni dei criptofonini inattaccabili, riuscendo a decriptare le stringhe delle conversazioni. In questo modo è avvenuta anche la cattura a Dubai del latitante Bruno Carbone, così come il sequestro di circa un quintale di droga di vario tipo, armi da fuoco e autovetture modificate, nonché di un ordigno esplosivo regolamentare ed alcune centinaia di munizioni di vario calibro. 

Tra i dettagli insoliti emersi nel corso delle attività di indagine, c’è anche la difficoltà di piazzare alcune partite di cocaina «scadenti» e denominate Adidas (come il noto marchio di abbigliamento) e 777, che avevano creato non pochi problemi ai narcotrafficanti, costretti anche ad abbassare i prezzi pur di rivendere quella droga. Uno dei luoghi individuati per la consegna del denaro ai narcotrafficanti era un noto bar di via Campana a Quarto.

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