A casa i marinai campani prigionieri del cargo nel mare della Cina: «Ce l'abbiamo fatta»

A casa i marinai campani prigionieri del cargo nel mare della Cina: «Ce l'abbiamo fatta»
di Patrizia Capuano
Venerdì 19 Febbraio 2021, 23:49 - Ultimo agg. 20 Febbraio, 07:31
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«Ce l’abbiamo fatta, è finita!». Era raggiante il comandante Giuseppe Pugliese quando, ieri pomeriggio, è atterrato a Capodichino. Con lui gli ufficiali Adam Pugliese, anche lui di Monte di Procida, e Davide Erbi di Napoli. Verso casa anche gli altri tre marittimi italiani, Antonio Pollina, Alessio Aliberti e Luca Porcelli, mentre i 13 marinai filippini che erano con loro sulla Mba Giovanni sono ancora lì, a bordo, in attesa del cambio che avverrà tra una decina di giorni. Il lungo viaggio di rientro degli italiani - a distanza di oltre un anno dal momento in cui avevano lasciato le loro famiglie per imbarcarsi sul cargo diventato imprevedibilmente una dolorosa prigione - era iniziato giovedì 18, quando finalmente Pugliese aveva potuto passare il testimone a Michelino Riccio, comandante napoletano di 62 anni giunto sul cargo con altri cinque marittimi. Quindi la traversata di tre ore a bordo di un rimorchiatore cinese fino al porto di Huanghua, poi il volo fino in Italia. 

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«Siamo tornati, increduli», racconta con la voce rotta dall’emozione il comandante Pugliese. Ad accoglierlo all’aeroporto di Capodichino la moglie Luisana Spinelli e i loro tre bambini.

Abbracci e lacrime, dopo mesi di tensione. «Una estenuante disavventura», aggiunge. Un lungo periodo senza poter toccare terra, prigionieri del cargo su cui si erano imbarcati: l’emergenza Covid ha impedito gli avvicendamenti degli equipaggi su scala internazionale. Ma non solo. I marinai della Mba Giovanni, di proprietà dell’armatore Michele Bottiglieri, sono stati al centro di una diatriba tra la Cina e l’Australia che impediva loro di depositare il carico di carbone prelevato in marzo dopo una tappa a Singapore. Controversia peraltro tuttora irrisolta.

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«A Huanghua - racconta Pugliese - siamo stati sottoposti a due test molecolari e ad uno sierologico. Abbiamo atteso l’esito, negativo per tutti, in un pullmino. Siamo stati accompagnati all’aeroporto di Pechino, dove le procedure sono state molto rigide. Abbiamo rischiato di perdere il volo delle 13.20, siamo saliti giusto in tempo. Altrimenti avremmo dovuto attendere altri due giorni. Incredibile». «Sono stati sedici mesi molto duri – prosegue il comandante Pugliese – la pandemia non ha consentito alcun contatto con gli esterni. Eravamo in una bolla, isolati». Il cargo diventato una sorta di prigione. «L’aspetto peggiore, oltre alla solitudine, non poter avere spiegazioni. Nessuno ci diceva nulla e questa è stata una ingiustizia. Non avevamo certezze. Per un comandante non poter confortare il suo equipaggio, è terribile. Il nostro è un ruolo particolare. Ci sono tante responsabilità e nel contempo bisogna dare coraggio. Nell’ultimo periodo abbiamo ridotto gli orari dei turni al minimo. I marinai erano allo stremo, per fortuna non ci è mancato nulla».

Lo scorso dicembre l’attesa notizia, grazie ad un’azione diplomatica della Farnesina e dell’Ambasciata d’Italia a Pechino con la capitaneria di porto. Soluzione sollecitata dai sindaci tra i quali il primo cittadino di Monte di Procida, Giuseppe Pugliese. Ma non per tutti i marinai è così. «Il mio pensiero va a coloro che sono ancora fermi. In Cina 60 le navi bloccate e centinaia di marittimi in attesa di scendere. Auspico il loro rientro, l’avvicendamento degli equipaggi è un diritto umano», conclude il comandante Pugliese.
 

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