Metropolitana di Napoli, nove condanne per il crollo di Chiaia: «Errori nel sottosuolo»

Il verdetto dieci anni dopo la voragine: sette assoluzioni, tre imputati deceduti

ll crollo di Chiaia
ll crollo di Chiaia
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Lunedì 11 Dicembre 2023, 23:00 - Ultimo agg. 13 Dicembre, 11:22
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Una falla tra le paratìe a 18 metri di profondità. Un probabile difetto di costruzione tra i blocchi piazzati sotto il livello del mare, a protezione di un cantiere per un’opera avveniristica: un’opera che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema dei trasporti cittadini, realizzando il collegamento tra la Villa comunale (l’intero lungomare cittadino) e piazzale Tecchio. Tutto chiaro sulla carta, anche se nei fatti le cose sono andate diversamente.

Torniamo indietro di 10 anni, ricordate quel 4 marzo del 2013? Una voragine alla Riviera di Chiaia, con edificio storico - parliamo di Palazzo Guevara di Bovino - che crolla su se stesso. Disastro e paura, un miracolo che non ci siano state vittime umane. Ieri, a distanza di dieci anni, la sentenza di primo grado. Un verdetto che conferma l’ipotesi iniziale: a provocare il crollo, probabili errori commessi nella gestione del cantiere sotterraneo, a proposito della collocazione della paratìe nate per consentire i lavori sotto il livello del mare. Accolta la linea della Procura, al termine delle indagini del pm Federica D’Amodio, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Simona Di Monte, al termine di un lavoro investigativo legato alla maxiperizia firmata dai consulenti Augenti e Grazioso.

Aula 211, sono le due di ieri pomeriggio. Tocca al giudice monocratico Mendìa chiudere il primo grado di giudizio con questo tipo di verdetto: nove condanne, sette assoluzioni, addirittura tre imputati deceduti nel corso di questi anni. Disastro colposo è l’accusa che ha spinto il giudice a firmare il seguente verdetto: condannati a due anni (pena sospesa) Giuseppe Annunziata (direttore di Cantiere per Arco Mirelli); Federico Moccia (Ansaldo), Raffaele Imparato (responsabile unico del Comune), Angelo Ribecco (direttore dei lavori per Ansaldo), Antonio Liguori (Ansaldo), Mario Barbati (Arco Mirelli), Gabriele Santangelo (Trevi). Un anno e sei mesi invece per Stefano Aversa (esponente del comitato tecnico scientifico nominato dal Comune con compiti di consulenza) e Gino Zanchini (Trevi).

Sette sono invece le assoluzioni per non aver commesso il fatto, sia per l’accusa di disastro che per quella di crollo: parliamo di Ciro De Luca (Arco Mirelli scarl), Giorgio Mormone (Arco Mirelli scarl), Angiolino Belizzi (Arco Mirelli), Ettore Sacco (progettista), Paolo Santangelo (Trevi), Luigi Nardacci (Trevi) e Vincenzo Scotti (Arco Mirelli scarl), difesi - tra gli altri - dai penalisti Errico Frojo, Franco Moretti. Tre gli imputati deceduti in attesa della sentenza, parliamo di professionisti che - sin dalle prime battute di questa vicenda - si erano detti pronti a dimostrare la correttezza della propria condotta: la posizione di Renato Sparacio, Vittorio Pagliarulo e Luigi Visconti è stata infatti estinta per avvenuto decesso. Accolte istanze di chi si è costituito parte civile, a partire dalla società R&R, che gestiva l’edificio del civico 73, vale a dire il palazzo maggiormente colpito dal crollo del manto stradale (che era rappresentata dal penalista Francesco Cedrangolo). Ma torniamo a dieci anni fa.  

 

Erano da poco passate le nove di lunedì mattina, quando avviene l’impensabile.

Viene riaperto il cantiere, dopo la parentesi del fine settimana, quando uno degli operatori compie una sorta di miracolo. Si avvede che un intero gabbiotto di servizi è sparito, completamente avvolto dall’acqua; si accorge che tra due paratìe si è aperta una falla, che l’acqua sta travolgendo ogni cosa. Attimi carichi di tensione, una corsa contro il tempo. L’operaio riesce a guadagnare l’uscita e a lanciare l’allarme. Panico in superficie, un intero edificio viene sgomberato in tempo reale. Diventa emblematica la corsa di una ragazza che sta facendo la doccia e che fugge in accappatoio. Nessuno morirà, neanche un ferito, grazie all’allarme al fotofinish. Dieci anni dopo, si arriva a un verdetto, doveroso a questo punto leggere le motivazioni. Difesi dai penalisti Orazio De Bernardo, Giuseppe Fusco e Mauro Valentino, gli esponenti di Ansaldo hanno sempre ribadito la correttezza della propria condotta, alla luce della trama di subappalti, anche in vista della esecuzione dei lavori che spettava a ditte intervenute in un secondo momento. È il cuore dell’inchiesta, dal momento che è stato necessario ricostruire la catena delle responsabilità e degli interventi amministrativi, tra Palazzo San Giacomo alla concessionaria principale, per finire alle aziende subappaltanti. 

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Ma c’è un retroscena che probabilmente ha inciso nella valutazione da parte del giudice. Almeno due mesi prima del crollo, c’erano stati alcuni smottamenti lungo via Riviera di Chiaia. Poi vennero segnalate delle infiltrazioni di acqua e smottamenti all’interno di un pub storico della zona, che rappresentarono dei segnali di allarme ineludibili. Eppure, non ci furono le dovute contromosse. Anzi. Negli atti del processo, spuntano mail e verbali di una riunione nella quale venne affrontata l’urgenza degli allarmi riscontrati sul territorio. Si decise di andare avanti, con un epilogo che solo per miracolo non ha provocato danni alle persone. 

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