L'onda lunga del maxi-processo al clan Contini è giunta in Cassazione. Tante sono le condanne definitive arrivate a sentenza che confermano, una volta di più, la capacità dei sodalizi camorristici di costruire imperi economici anche riciclando i profitti illeciti in attività commerciali che consentono di alimentare a dismisura i giri d'affari dei clan. Dodici gli arresti messi in esecuzione dalla Procura generale di Napoli con vari blitz delle forze dell'ordine già eseguiti nella notte tra venerdì e sabato, ma su queste ultime operazioni resta il massimo riserbo da parte della Procura generale perché tra i destinatari delle misure restavano ancora nove ricercati sfuggiti al blitz, una parte di questi si è consegnata spontaneamente nelle ultime ore. Al di là degli arresti, resta la capacità degli inquirenti di riuscire a smantellare, grazie ad inchieste durate vari anni, l'ala imprenditoriale legata al clan Contini.
Tra i destinatari dei mandati di arresto, dopo la sentenza definitiva arrivata in Cassazione, c'è uno dei fratelli Righi, Salvatore, celebre ristoratore delle pizzerie Ciro ubicate in vari punti di pregio del centro di Roma, già destinatari di vari blitz, a partire dal 2014, con sequestri per decine di milioni di euro. Salvatore Righi - a lui è stata inflitta una condanna definitiva a 11 anni e 8 mesi - resta però ricercato perché risultato irreperibile nei blitz compiuti l'altra notte.
Se per vari personaggi legati al clan sono finiti in carcere, restano ricercati altri soggetti, oltre a Salvatore Righi. Due si sono consegnati nelle scorse ore: si tratta di Francesco Napoli (deve scontare 4 anni di reclusione) e Guglielmo Errico (4 anni). Restano al momento irreperibili Ettore Bosti, solo omonimo del boss e imprenditore nel settore ittico (5 anni e 11 mesi), Raffaele Olisterno (2 anni e 10 mesi), Carlo Piscopo (2 anni e 5 mesi), Mario Cardinale (6 anni e 4 mesi), Enrico Kaiser (6 anni e 8 mesi). C'è poi anche una donna, inizialmente tra i ricercati, Elena Bastone (condannata a 2 anni e 8 mesi di reclusione), che ieri si è consegnata a Benevento.
Le condanne emesse dalla Suprema Corte confermano l'impianto accusatorio emerso dopo anni di indagini effettuate dal pm Ida Teresi e in Appello dal sostituto pg Simona De Monte. Un lunghissimo lavoro che a partire dal 2015 ha portato in giudizio 170 imputati, 70 già con una sentenza definitiva con il rito abbreviato. La bontà dell'enorme mole di indagini volta dalla Procura partenopea per smantellare uno dei clan più attivi nel centro di Napoli e non solo, ha trovato riscontro sia con le decine di condanne arrivate nel processo di Appello e ora da parte della Cassazione che pone una pietra tombale sugli interessi economici e commerciali del clan Contini. In totale si è arrivati - tra tutti i condannati in via definitiva - a pene complessive che superano i sei secoli. Le accuse contro l'organizzazione criminale e i suoi membri sono state prevalentemente di associazione a delinquere di stampo mafioso, armi, traffico di droga e riciclaggio. Ma di vitale importanza è stata l'attività della Procura di ricostruire durante il processo i meccanismi con i quali il clan ha gestito le proprie attività illecite. Sono così emersi i profili degli uomini di punta che per conto di Eduardo Contini e Patrizio Bosti hanno portato avanti le redini del clan: su tutti Salvatore Botta, Paolo Di Mauro, Giuseppe Ammendola, Ettore Bosti e Rita Aieta (questi ultimi due rispettivamente figlio e moglie di Patrizio).