Napoli, falsi video di detenuti in carcere: una strategia per rafforzare i clan

La vita da reclusi interpretata da attori su TikTok: «Simulano chat da Poggioreale»

Falsi video dal carcere di Poggioreale
Falsi video dal carcere di Poggioreale
di Leandro Del Gaudio
Martedì 14 Novembre 2023, 23:26 - Ultimo agg. 15 Novembre, 14:41
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C’è una intestazione chiara, poi - a scanso di equivoci - il riferimento al giorno e finanche all’orario. Scrivono all’inizio del video “in diretta dal carcere di Poggioreale, 11 novembre ore 13.45”. Poi seguono le scene di vita quotidiana, «dalla nostra cella a Poggioreale”, con una sequenza che riprende l’interno di un penitenziario (non è chiaro quale sia la casa circondariale e né chi abbia prodotto abusivamente quella scena), per poi inquadrare due sedicenti detenuti: uno dice che sta scontando una condanna a sedici anni; l’altro si concentra a fargli domande. Tutto falso, almeno per quanto riguarda la scena dei due sedicenti detenuti che armeggiano con il cellulare.

Attori in una strana commedia, come appare evidente dalle vistose catenine che hanno al collo che non potrebbero essere tollerate in nessun penitenziario del mondo civile. Fatto sta che i due attori si presentano e salutano i propri followers, mentre sullo sfondo viene inquadrata la sagoma di altri presunti detenuti che smanettano con i cellulari. Tutto su TikTok, la piattaforma di origine cinese che, come ha spiegato il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, rappresenta la frontiera mediatica più avanzata (e abusata) dalle mafie italiane. È attraverso i social, che vengono veicolati valori e stili di vita quanto meno discutibili.

Video

Ma torniamo ai due attori e al post che circola in queste ore su TikTok. Inevitabile una domanda: perché bollare queste immagini con la scritta Carcere di Poggioreale? Verifiche in corso, massima attenzione - su questo come in altri casi - da parte dei vertici del penitenziario napoletano, il direttore Carlo Berdini. Stessa attenzione, su questi ed altri contenuti postati sui circuiti informatici, da parte degli uffici inquirenti e dello stesso Dap.

Stando a una primissima verifica, il post dei due uomini che raccontano la loro esperienza all’interno del carcere napoletano (uno dei quali sostiene di dover scontare un definitivo a 16 anni per associazione) sicuramente non è stato realizzato all’interno della casa circondariale napoletana.

C’è però una sorta di prequel in questa storia, un precedente che conviene raccontare: lo scorso agosto, sempre attraverso TikTok, venne postata una lunga conversazione tra due detenuti. Anche in questo caso, meglio chiarire subito, si trattava di una messinscena. Due finti detenuti, una conversazione finta: lei diceva di essere reclusa a Pozzuoli; lui era invece ristretto a Poggioreale. I due parlavano della vita detentiva, dei rapporti con gli agenti penitenziari e gli altri ospiti delle rispettive carceri. Tutto falso, ma anche tutto strano. A che serve attirare l’attenzione sul mondo di dentro? Comparsate a parte, sembra chiara una cosa: al centro di tutto ci sono i telefonini cellulari, che rappresentano una delle criticità che si sono abbattuti sul mondo dei penitenziari negli ultimi anni. 

 

Tantissimi sono i sequestri di cellulari da parte degli agenti di polizia penitenziaria a Napoli, come in altre strutture italiane; ma sono anche tantissimi i telefonini che circolano nelle celle, grazie a espedienti impensabili. Cellulari piccoli o veri e propri smartfone entrano durante i colloqui, ma possono comparire anche attraverso i droni (non è un caso che in alcune carceri di massima sicurezza arriveranno delle grate sottili e fitte per impedire bloccare la merce dall’alto). E si torna alla domanda di prima: a chi interessa realizzare simulazioni di videochiamate all’interno delle celle? Materia delicata, conviene rispolverare le informative più recenti. Mostrare al mondo di fuori che in cella girano cellulari significa dimostrare il proprio potere. E sono ancora le frasi postate su Tiktok a chiarire il concetto: «Anche se stiamo in carcere, siamo ancora potenti e padroni del campo». Postare scene di vita all’interno del carcere - vere o posticce, a seconda delle esigenze - significa dimostrare il proprio potere. Acquisire consenso, ribadire il proprio radicamento. Uno scenario sul quale ora si attendono verifiche - al netto di chi ha organizzato scherzi fine a se stessi -, per chiarire chi c’è dietro simili operazioni. Da agosto ad oggi, perché tirare in ballo Poggioreale? È un gioco che non fa ridere o un modo per lanciare messaggi al proprio retroterra?
 

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