Napoli, i video dei detenuti su TikTok: messaggi anche dai minorenni

Dai boss ai babykiller, i social gestiti con gli smartphone nascosti in cella. Chat tra diversi penitenziari

Un frame dai video su TikTok
Un frame dai video su TikTok
di Leandro Del Gaudio
Martedì 8 Agosto 2023, 23:00 - Ultimo agg. 9 Agosto, 19:38
4 Minuti di Lettura

Qualche mese fa il boss di Fuorigrotta dettava ordini ai suoi, parlava di racket e di strategie criminali: lo faceva al telefono, nonostante fosse detenuto nel carcere di Voghera: «Mettete i giochi nei bar - diceva a proposito delle scommesse clandestine - voglio vedere i nostri giochi in ogni locale di Coroglio». Ma non è l’unico caso in Italia. Anzi. Sono centinaia gli episodi segnalati ogni anno, in decine di carceri italiane. C’è di tutto, a leggere le denunce: spiccano killer minorenni che lanciano segnali di sfida a mezzo TikTok, boss che rinsaldano le fila del proprio clan attraverso gallerie di reel, ma anche challenge che si consumano da un penitenziario all’altro.

È il caso denunciato ieri mattina dal parlamentare dei Verdi Francesco Emilio Borrelli, a proposito di una chat tra due ragazzi che compare su Istagram. Chi sono gli interlocutori? Lui si fa chiamare El Guzman (in onore di Joaquin El Chapo Guzman, capo del cartello di Sinaloa), è un napoletano probabilmente detenuto in Campania, ma non si lascia inquadrare; lei invece compare in bella mostra nel video che sta facendo il giro del web, ha accento pugliese e si informa - tra l’altro - sul numero di concittadini detenuti in Campania. Verifiche in corso, si muove la provveditrice regionale Lucia Castellano, mentre la direzione del Dap è stata ovviamente allertata. Poche settimane fa, era comparso nel circuito dei social un altro video registrato in modo abusivo all’interno di una cella: «Almeno tre detenuti a dorso nudo, nei giorni del grande caldo di luglio, erano impegnati in una diretta social, dal chiuso di una cella: mostrano uno spinello (che viene definito «‘a stracciatella»), che accendono quasi a mo’ di brindisi collettivo. 

Anche in questo caso sono scattate denunce, segnalazioni, rilievi disciplinari e possibili trasferimenti in altre case circondariali.

Un fenomeno noto, quello degli smartphone in cella, come emerge dai numeri e dalle statistiche del lavoro svolto - per fare un esempio paradigmatico - dalla direzione del carcere di Poggioreale. Sono centinaia i telefonini sequestrati ogni anno solo all’interno del carcere intitolato a Giuseppe Salvia, con un livello di vigilanza che resta altissimo. Preoccupano i numeri dei cellulari sequestrati e la loro tipologia. Fino a qualche tempo, fa nelle carceri italiane entravano solo microcellulari, la cui unica funzione era quella di consentire conversazioni telefoniche con il mondo di fuori. Oggi invece, alla luce dei sequestri e delle note di polizia penitenziaria, si comprende che lo scenario è cambiato: in cella entrano soprattutto telefoni di ultima generazione, che consentono di navigare in Internet, di rimanere connessi e di allestire chat a mezzo social. E non si tratta solo di attività diversive, finalizzate ad abbattere la noia della vita da detenuto, ma anche di condotte funzionali al rafforzamento del proprio retroterra criminale. Sono decine i casi raccontati negli ultimi mesi in cui si fa riferimento a messaggi proiettati dalle celle per rafforzare valori distorti o indirizzare ordini e sfide plateali.

È il caso raccontato giorni fa dal Mattino (dopo la denuncia del parlamentare Borrelli), a proposito del messaggio di un 17enne: «Io rido sempre», tramite l’immancabile piattaforma social. Chi è il protagonista del video? È il 17enne ritenuto responsabile di aver gravemente ferito una bambina di 10 anni, lo scorso 23 maggio lungo il corso principale di Sant'Anastasia. Assieme a un complice (maggiorenne da qualche mese) ha impugnato un mitra, facendo fuoco contro un gruppo di persone, all’esterno di un bar in cui era in corso una festicciola di bambini di dieci anni. Neanche due mesi dopo, si registra l’ennesima sfida social, probabilmente dopo l’intervento di qualche parente adulto del 17enne accusato di tentato omicidio. C’è infatti chi riesce a registrare un colloquio che avviene tra il giovane indagato detenuto a Nisida e i propri parenti, per poi postare su TikTok la frase del 17enne: «Io rido sempre...», ripete il giovane malvivente, divulgando - probabilmente a sua insaputa - i valori distorti di una resistenza criminale inscenata in cella. 

Un allarme nazionale, che passa da una piattaforma all’altra, anche alla luce di quanto svelato alcuni anni fa dall’allora procuratore di Napoli Gianni Melillo (oggi a capo della Procura nazionale antimafia), dinanzi alla commissione parlamentare antimafia: «L’attenzione è alta - aveva spiegato il capo dei pm di Napoli - ne sequestriamo tantissimi, il fenomeno è in crescita». Uno scenario nel quale, tra una «stracciatella» (uno spinello a forma di cono gelato), una sfida da minorenne e una chat tra detenuti in carceri differenti, ora si auspicano interventi rapidi per bonificare interi padiglioni penitenziari. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA