Napoli, sfregio al murale per Giancarlo Siani: muffa e scritte cancellano la memoria

Napoli, sfregio al murale per Giancarlo Siani: muffa e scritte cancellano la memoria
di Antonio Menna
Venerdì 26 Novembre 2021, 23:54 - Ultimo agg. 27 Novembre, 16:24
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Ammuffito, imbrattato, addirittura coperto in parte da tubolari, tavole di legno e una rete di protezione. È irriconoscibile l’opera di street art dedicata al giornalista Giancarlo Siani in via Romaniello, la strada tra il Vomero e l’Arenella dove abitava e dove una sera di settembre, nel 1985, fu ucciso dalla camorra. Quello che doveva essere un ricordo da tenere vivido, luminoso, si è trasformato nel suo contrario: un monumento alla dimenticanza, all’abbandono, trentotto metri di ferita. Non c’è un solo centimetro della lunga e ambiziosa opera che sia oggi riconoscibile. Ognuno di quei ventisei pannelli allestiti solo cinque anni fa è divorato dall’incuria. La vernice si è completamente staccata, rendendo invisibile di fatto ogni disegno e immagine. Macchie nere di umidità e muffa spaccano l’opera in decine di punti. Non mancano i graffiti, azioni di vandali che hanno coperto i disegni dei volti sorridenti, quei primi piani che sembravano riportare Giancarlo a casa, con frasi scomposte, vuote di qualunque significato. Sulla parte finale, poi, compare anche un mini-cantiere. Una rete rossa di protezione, due barriere di ferro, due puntelli con sostegni in legno a contenere un muro che mostra crepe profonde e visibili, e un velo - diremmo pietoso - che impediscono anche il camminamento sul marciapiede a chi sale dalla vicina stazione della metropolitana. Totalmente illeggibili, infine, le sette citazioni (di Alda Merini, Nelson Mandela, Wilbur F. Storey, Albert Camus, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville e Vasco Rossi) che dicevano qualcosa della memoria e del pensiero di Giancarlo, e oggi sono anche simbolicamente mute.

Lo stato di abbandono dell’opera non è di oggi. È almeno un anno che il degrado mangia vivo porzioni dell’installazione. Le prime denunce hanno raccolto qualche commento indignato e qualche generica rassicurazione. Ma pezzo dopo pezzo, quel mosaico della legalità ha continuato a dissolversi. Il muro lunghissimo su cui è stato allestita l’opera è privato, di un condominio. Ma l’installazione ha una chiara rilevanza pubblica, guarda un marciapiede di passaggio, e può a giusta ragione essere considerata, nella sua tutela, una necessità che interroga le istituzioni.

Bisogna fare presto. Tempo qualche mese, qualche pioggia ancora, e di quel ricordo non resterà nulla. Eppure quando fu allestito, venne salutato come un omaggio straordinario, anche per come si era formata l’iniziativa, molto nelle corde di quella che era la personalità di Giancarlo. Un formidabile intreccio di associazioni, comitati popolari, giovani volontari e artisti: una sinergia commovente che a vedere oggi l’opera suona quasi come una beffa.

 

L’idea di quella installazione nacque su Facebook, nel gruppo “Un fiore per Giancarlo”, insieme alla fondazione che porta il suo nome. La pagina era animata anche da molti vicini di casa della famiglia Siani, abitanti del quartiere, che volevano lavare le macchie di sangue con il colore della vita. Fu lanciata una raccolta di fondi sulla piattaforma Derev. Raccolto il denaro necessario fu incaricato della realizzazione un collettivo artistico molto noto: Orticanoodles. Giovanissimi, creativi, incursori, si erano fatti amare a Milano con la poster art e gli stencil. Vennero a Napoli e composero in quattro giorni (dal 19 al 23 settembre del 2016) un’opera innovativa, con due tonalità cromatiche (il verde della Mehari, e della speranza, e il grigio seppia della carta stampata dell’epoca), ventisei pannelli, tanti quanti gli anni del cronista ucciso. Ritratti, volti, situazioni, e poi frasi, citazioni. Fu usata anche una vernice particolare, naturale al 100%, compatibile con l’ambiente e capace, come una fotosintesi clorofilliana, di assorbire e ridurre il monossido nell’aria. Un anno dopo, mentre l’opera era ancora intatta, sulla parte alta del muro, all’imbocco del vicolo, fu apposta una targa in vetro con una tripla intestazione: Regione Campania, Fondazione Polis, Comune di Napoli. Alla base, un Qr Code: un clic e si può leggere la storia di Giancarlo. Peccato, però, che l’ultimo tassello sia questo muro sbrecciato, nero di muffa, malinconico, luttuoso e cadente che, come la mano dei killer quella sera, su quella stessa strada, cancella di nuovo il sorriso di Giancarlo.

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