L'area napoletana ha il più alto rischio vulcanico al mondo: circa tre milioni di persone abitano entro la distanza di circa 20 km da una possibile bocca vulcanica. Poi ci sono i vulcani siciliani l'Etna, quelli delle Eolie, e i vulcani sottomarini in particolare nel basso Tirreno. Lo denuncia Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca dell'Ingv, già direttore dell'Osservatorio Vesuviano, in occasione del lancio del manifesto «Ricucire l'Italia per un nuovo assetto Euro-Mediterraneo», firmato da oltre 500 rappresentanti del mondo accademico, scientifico e intellettuale italiano.
«Il rischio vulcanico in Italia è estremamente variabile, poiché dipende dalla natura e dalla localizzazione degli apparati vulcanici considerati - continua De Natale - L'Etna è un tipo di vulcano che non pone rischi immediati per la vita umana, sebbene alcune colate laviche possano talvolta minacciare i centri abitati localizzati nella parte alta del vulcano.
«Il rischio vulcanico più alto al mondo, però, è quello dell'area napoletana, per la presenza di molteplici aree vulcaniche caratterizzate da altissima esplosività, estremamente popolate: Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia, oltre ad altre possibili sorgenti di eruzioni ignimbritiche nella Piana Campana».
La mitigazione del rischio vulcanico in quest'area rappresenta, per De Natale, una sfida «e può essere ragionevolmente perseguita soltanto diminuendo drasticamente la densità di popolazione residente in queste aree. È importante rilevare che queste aree, di enorme valore turistico, culturale e naturalistico, non vanno certo desertificate; il problema è di valorizzarne la fruizione, scoraggiando però nel contempo la residenzialità». «In queste aree si deve poter lavorare, fare turismo, cultura e svago; ma stabilendo residenza permanente al di fuori di esse. Solo in tal modo è ipotizzabile predisporre piani di evacuazione programmata, in caso di chiari segnali pre-eruttivi, che possano funzionare sia in termini logistici sia economici: considerando anche il carattere empirico e l'intrinseca incertezza della previsione delle eruzioni», conclude.