Non è un sacerdote, non presiede l'eucaristia e non assolve i peccati, nella maggior parte dei casi è coniugato e ha una sua professione ma nella Chiesa - e non solo in quella di Napoli - sta assumendo un ruolo sempre più determinante e necessario. Colpa della crisi delle vocazioni, i seminaristi ormai sono vere e proprie mosche bianche: anno dopo anno cala infatti drasticamente il numero di chi tra i giovani decide di offrire la propria vita all'evangelizzazione. Di conseguenza, colpa anche dell'età media dei sacerdoti - sempre più alta e dunque sempre meno compatibile con il tanto lavoro che c'è da fare - la figura del ministro ordinato all'interno delle comunità è sempre più preziosa. A dichiararlo sono gli stessi preti che nelle parrocchie (ma anche negli altri organismi pastorali: carceri, ospedali, centro di accoglienza) condividono il servizio in perfetta sintonia con i diaconi.
Basta un dato per capire le proporzioni del fenomeno: a Napoli sono 312 mentre i sacerdoti un po' meno di 500. Vale a dire che i primi rappresentano circa il sessanta per cento di chi ha scelto di mettersi al servizio della diocesi. Nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli a Cappella Cangiani, tanto per fare un esempio, i diaconi impegnati sono addirittura otto. In tutta la Campania sono invece 735 e in 160 si stanno già preparando per avviarsi al ministero diaconale, vale a dire un percorso non facile di formazione spirituale e pastorale, ma anche umana e intellettuale, della durata di cinque anni: «Il dato è certamente confortante - spiega Giuseppe Daniele, coordinatore regionale della categoria e diacono da 37 anni - avere linfa nuova è sempre un buon segnale, abbiamo bisogno di forze giovani.
«È un ministro di Cristo a tutti gli effetti - aggiunge il coordinatore regionale - pur rimanendo inserito nel proprio contesto familiare, sociale e professionale. La crisi delle vocazioni è innegabile, il fenomeno è nazionale e Napoli non è immune. In alcune diocesi della regione i diaconi vengono utilizzati anche come responsabili dei diversi uffici della Curia. Un impegno, il nostro, che consente di liberare i presbiteri da lungaggini e burocrazia per dare loro la possibilità di dedicarsi ad altre mansioni. Va detto che qui a Napoli, insieme con Torino, grazie ai cardinali Ursi e Poletti, siamo stati pionieri nell'avventura del diaconato permanente».
Attenzione però. Il rischio da non correre è quello di clericalizzare il diaconato: «Il nostro è un ministero a favore di tutti. Siamo e dobbiamo rimanere figure diverse unite da un impegno comune. Quale? Diffondere il vangelo tra la gente, anche tra chi non crede, e dare vita a una vera comunità di fratelli nel Signore, unita e concorde. È chiaro che tutto ciò richiede la presenza di figure diverse, autorevoli, capaci di assumersi le loro responsabilità. In un simile quadro d'insieme - conclude Giuseppe Daniele - il ruolo del diacono apparirà come un appello vivente al recupero della centralità della missione pastorale nelle nostre comunità cristiane».