Riciclaggio, reato prescritto
per i ristoratori fratelli Iorio

di Viviana Lanza
domenica 6 novembre 2016, 15:04
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I giudici hanno invece ritenuto inammissibili i ricorsi degli altri quattro imputati rendendo definitive le condanne: nove anni di reclusione per Bruno Potenza e sei anni per Salvatore Potenza, entrambi accusati di associazione per delinquere e usura, due anni per Assunta Potenza e tre anni per Domenico Sarpa accusato di aver riscosso soldi per conto della famiglia di Santa Lucia. Personaggio chiave nella ricostruzione accusatoria, Bruno Potenza è figlio del defunto Mario ex contrabbandiere del pallonetto di Santa Lucia accusato di aver investito un capitale nell’usura e nella ristorazione. In carcere ha già scontato circa la metà della pena e ora che la condanna è definitiva dovrà saldare il suo conto con la giustizia. L’avvocato Giuseppe de Gregorio, che lo difende, confida di poter accedere alla nuova formulazione dell’articolo dell’ordinamento penitenziario che consentirebbe a Potenza di scontare quel che resta in regime di affidamento ai servizi sociali. Sull’intero processo molto deve aver pesato l’assoluzione, decisa già nel primo processo, dal capo di imputazione relativo al milione e mezzo di euro che l’ex boss di Miano Salvatore Lo Russo avrebbe dato a Potenza affinché lo investisse in ristoranti. Assoluzione che ha alleggerito anche la posizione dei fratelli Iorio. I difensori degli imprenditori, nel ricorso in Cassazione, avevano puntato molto sulla proporzione, tra i redditi di Potenza e i capitali investiti in attività imprenditoriali, che sarebbe esistita secondo i giudici che hanno dissequestrato tutti i beni degli Iorio, e non sarebbe esistita invece per i giudici che avevano deciso le condanne in Appello.
La prescrizione è arrivata a mettere il punto sulla questione. Sentenza annullata. E il sipario cala sull’inchiesta che nel giugno 2011 ipotizzò reimpieghi di capitali illeciti in alcuni dei più esclusivi e frequentati ristoranti del lungomare di Napoli. Fu battezzata operazione Megaride. Scavò nei conti degli imprenditori della ristorazione e nel tesoro della famiglia Potenza ipotizzando reinvestimenti di soldi che avrebbero avuto origine dal giro di usura che si riteneva gestito dall’anziano capostipite deceduto per cause naturali a dibattimento ancora in corso e in casa del quale furono trovati milioni in contanti nascosti nelle pareti. A corredo delle accuse c’erano le dichiarazioni dell’ex boss Salvatore Lo Russo, un tempo capo del clan dei Capitoni di Miano e oggi collaboratore di giustizia, con un passato da confidente dell’allora capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani. Anche il nome del superpoliziotto finì nell’elenco degli imputati assieme a professionisti e commercialisti. A Pisani si contestava un’ipotesi di favoreggiamento per la sua amicizia con l’imprenditore Marco Iorio e agli altri l’accusa di aver messo le proprie professionalità al servizio degli Iorio e dei Potenza. Alla fine del processo in dieci sono stati assolti, incluso Pisani, scagionato da ogni accusa. E le assoluzioni sono definitive.
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