Tiziana Cantone, il giallo dell'unghia: «Il caso non va archiviato»

Dubbi sull'ipotesi suicidio per la posizione della panchetta e del corpo

Tiziana Cantone
Tiziana Cantone
di Leandro Del Gaudio
Martedì 20 Dicembre 2022, 00:02 - Ultimo agg. 21 Dicembre, 08:30
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A leggere le conclusioni di accusa e difesa, vale a dire della Procura e della parte civile, c’è un punto fermo: Tiziana Cantone è morta due volte. Impiccata (o strangolata?) alla sua panchetta ginnica e trascurata, al punto tale che per lei non venne disposta nell’immediato l’autopsia.

Riecco il caso della 31enne di Mugnano, morta a settembre del 2016 nella tavernetta della sua abitazione. C’è una doppia novità: la Procura ha chiesto al giudice l’archiviazione del fascicolo per omicidio; ed è arrivata l’opposizione firmata dall’avvocato Gianluca Condrò (nuovo penalista di Maria Teresa Giglio), depositata venerdì e fondata sul lavoro di due specialisti, il docente Vittorio Fineschi (ordinario di medicina legale alla Sapienza) e il docente Aniello Maiese (Università legale di Pisa). 

Tesi a confronto, tocca al gip decidere se chiudere definitivamente il caso Cantone o se disporre altri accertamenti. Ma proviamo a ripercorrere il ragionamento delle parti in campo. È stato il pm Giovanni Corona a chiedere l’archiviazione, dopo aver aspettato gli esiti dell’autopsia fatta nel 2021. Stando alle sue conclusioni, non emergono tracce di strangolamento. Una ricostruzione che fa i conti però con il fattore tempo. Dopo aver ereditato il fascicolo sulla morte di Tiziana, la Procura di Napoli nord ha proceduto alla riesumazione a distanza di quattro anni dal decesso. Ed è proprio dalle pieghe della richiesta di archiviazione si ricava conferma di un altro dato: subito dopo la morte di Tiziana, il medico legale intervenuto (che agli atti è indicato come dottor Pennacchio) aveva «fornito una chiara indicazione dopo il primo sopralluogo, con la richiesta di “esame autoptico”».

Ma su cosa viene fondata l’opposizione all’archiviazione? Doverosa una premessa: non c’è la volontà da parte della famiglia di Tiziana di imporre una ipotesi precostituita, ma solo la legittima richiesta di dipanare ogni zona d’ombra. 

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C’è un punto messo in rilievo dai consulenti: «La mancata esecuzione di tutti gli essenziali accertamenti (tra cui l’autopsia subito dopo il decesso) non consentono di individuare la causa e i mezzi della morte della povera Tiziana Cantone». Poi ci sono degli elementi che vengono indicati dagli specialisti di parte. Parliano di una lesione che ha insospettito i professori Fineschi e Maiese: «Tale lesione - evidenziano - può risultare pienamente compatibile con una unghiatura». Già, l’unghia. Ma di chi? Di Tiziana o di un soccorritore? O di qualcun altro? Interrogativi che andavano risolti subito. Ma andiamo avanti nel ragionamento. «Impossibile - si legge - escludere una metodica asfittica riconducibile a strangolamento». 

 

E c’è un altro versante su cui batte l’opposizione: è la valutazione della «idoneità del mezzo ginnico a cagionare la morte di Tiziana Cantone». È il punto in cui si fa esplicito riferimento a uno «staging» ben orchestrato, alla luce di alcuni fattori: l’altezza dell’attrezzo, che non sarebbe compatibile con gli inevitabili «movimenti ondulatori degli spasmi provocati da anossia» (come a dire: durante l’impiccagione, il corpo di Tiziana avrebbe trascinato a terra la panca, non era inchiodata al pavimento); ma anche un secondo aspetto legato alla posizione delle gambe della 31enne riscontrata dopo la morte. In che senso? «Le gambe erano incrociate e piegate, in modo incompatibile con una morte per asfissia meccanica perpetrata attraverso le modalità di impiccamento, posto che la compianta avrebbe posto in essere l’azione sucidiaria stando in ginocchio, ergo senza l’esercizio della forza peso che avrebbe dovuto spingere il corpo verso il basso». Insomma, ce n’è abbastanza per tenere aperto il dubbio sul caso Cantone. 

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