Torre Annunziata: pestaggi per punire il tradimento, a processo il branco delle donne

Torre Annunziata: pestaggi per punire il tradimento, a processo il branco delle donne
di Dario Sautto
Mercoledì 3 Marzo 2021, 09:43 - Ultimo agg. 09:49
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Forchettoni e forbici per punire il tradimento. Gelosia e violenza tra donne avevano scatenato una serie di aggressioni anche ai danni di una giovane donna incinta, vittima di una spedizione punitiva che era una vendetta trasversale in perfetto stile camorristico. L'inquietante «messaggio» era indirizzato alla mamma 45enne, colpevole di aver avviato una relazione clandestina con un uomo sposato con la nonna del babyboss della casa di Gomorra, sorella a sua volta di uno dei narcotrafficanti più influenti di Torre Annunziata. «Sì, ma mia mamma aveva sbagliato a mettersi con un uomo sposato ed era giusto che la picchiassero. Invece io non sapevo niente, ero incinta e non pensavo che non mi aggredissero». A processo ci sono le cinque donne che avevano ingaggiato questa infinita corsa alla vendetta contro mamma e figlia, entrambe ieri testimoni al processo in corso dinnanzi al giudice Enrico Contieri. Le due vittime hanno raccontato in maniera «colorita» le varie aggressioni subite a partire da dicembre 2019, quando la 55enne Anna De Simone (appartenente alla famiglia di narcos dei Quaglia Quaglia) e le figlie Patrizia, Annunziata, Miriana e Valeria Iovene (38, 33, 25 e 23 anni) a turno, e sempre in gruppo, si erano armate e avevano compiuto le varie scorribande.

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A ricostruire l'accaduto, rispondendo alle domande della pm Bianca Maria Colangelo, è stato il capitano Luigi Cipriano, in quel periodo al comando della compagnia carabinieri di Torre Annunziata e tra i primi a intervenire dopo la richiesta di aiuto della vittima. Aggressioni violente, con sfregi che inizialmente non erano stati neanche denunciati. «Ci avevano già picchiate, pensavo che si fossero accontentate». Ma era successo di più. Il 7 dicembre 2019 la più giovane era stata circondata nel parcheggio dello stadio, bloccata e obbligata a sottoporsi al taglio dei capelli. «C'erano tanti testimoni, qualcuno avvisò le sorelle Iovene della mia presenza. Ma nessuno le fermò». Un racconto agghiacciante: «Io ero incinta, con le forbici mi dissero che volevano bucarmi la pancia per farmi perdere il bambino». Poche settimane dopo, il 23 dicembre, la spedizione punitiva arriva a Castellammare, dove le vittime erano andate a trovare degli amici.

Lì arrivarono in auto le Iovene. «Una mi bloccò per farmi assistere al pestaggio di mia mamma ha spiegato la figlia poi arrivò anche il fratello Salvatore Iovene che mi investì con l'auto. Non mi feci niente, ma a mia madre furono strappati e tagliati i capelli». Nel frattempo, era stato aggredito anche il figlio della 45enne, giovane incensurato lontano da queste dinamiche, preso a colpi di casco al volto.

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Tutte queste aggressioni sono state raccontate solo in un secondo momento e confermate ieri in aula dalle testimoni, ma la prima denuncia era arrivata solo ad aprile, quando hanno raccontato mamma e figlia le cinque donne (insieme a Salvatore Iovene e a Vittorio Nappi, già condannati in abbreviato per rapina e lesioni) avevano anche rapinato la 45enne e «si erano presentate armate di pistola».

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