Ucraina, i profughi rifugiati a Napoli dall'incubo delle bombe alla speranza delle pace: «Qui il nostro futuro»

Viaggio nella comunità ucraina a Napoli a un anno dall'esplosione della guerra

L'appello per la pace dei profughi di Napoli
L'appello per la pace dei profughi di Napoli
di Gennaro Di Biase
Giovedì 23 Febbraio 2023, 14:00 - Ultimo agg. 24 Febbraio, 07:03
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Parlano sia del bene sia del male, le storie degli ucraini raccontate a un anno di distanza dall'esodo che ha portato in città migliaia di cittadini in fuga dall'orrore delle bombe. Il primo anniversario della guerra incrocia destini felici e no, vicende di integrazione e piccole grandi odissee. C'è chi è rimasto e c'è chi è tornato sui suoi passi, chi lavora o va a scuola e chi, invece, non è uscito dalle difficoltà. Non è facile dare numeri precisi, ma di certo tanti profughi sono andati via. «Su 10 ucraini arrivati nei primi mesi della guerra, solo la metà è rimasta a Napoli - stima Oksana Olymik, una delle volontarie e mediatrici culturali più attive in centro storico - Quando si è liberata Kiev e la zona è tornata vivibile tanti sono tornati lì. Altri sono andati via per ragioni economiche verso Germania, Svizzera, Polonia o anche Canada. In Ucraina sono tornati più o meno in 2 su 10». Estetisti, camerieri, badanti, operai: ecco i lavori più diffusi degli ex profughi. Ma anche artigiani. A dimostrarlo c'è la sfilata di Carnevale al Vomero di tre giorni fa - nata da un'idea dell'artista Yana Koslovska in fuga da Kiev e organizzata da Dateci le ali e Iocisto col supporto della V Municipalità - che ha unito ucraini e napoletani e ha messo in vetrina carri e costumi in maschera a tema napoletanità. Tante storie, un solo mantra: «Ricordiamo il gelo della fuga ma anche il calore dell'accoglienza a Napoli».

Il lieto fine è arrivato, ma non tutto è stato facile per Valery, o «Valentino, come ora mi chiamano tutti», sorride mentre lavora in un ristorante del Vomero.

Valentino, appena maggiorenne, è arrivato in Italia a 17 anni a marzo 22. Se fosse nato qualche mese prima, in sostanza, il destino non gli avrebbe permesso di lasciare l'Ucraina. Qui, però, lo Stato non gli ha concesso gli aiuti economici promessi. «Sono arrivati solo 300 euro per il primo mese. Degli altri 600 non ho ricevuto nulla. Ero arrivato con mia sorella di 12 anni, Katerina, ma nostro fratello maggiorenne Dimitri non poteva uscire dall'Ucraina. Così Katerina è tornata da nostra madre a inizio luglio. Quando ho compiuto 18 anni, ad agosto, ho potuto mettere tutte le carte in regola e prendere la maturità. Ora sono iscritto in una scuola a Chiaia: voglio prendere almeno la terza media italiana. Qui non valgono i nostri diplomi». Un grave ostacolo all'integrazione. Anche Tatiana è rimasta. E si è «sistemata», sospira. Ha 30 anni: «Sto qui con mio figlio di 11 anni, spero di dargli un futuro migliore. Sono arrivata con Mediterranea. Faccio le pulizie, vivo dalle parti di via Salvator Rosa. Mio marito, però, sta in Ucraina, gli uomini non possono partire». Spezzare la famiglia o allontanarsi dalla guerra: questo il pesantissimo aut aut che molti ucraini devono affrontare ancora oggi. Ma c'è anche chi ha trovato l'amore. Olga, sulla quarantina, è scappata all'inizio della guerra. «Quando è degenerata la situazione al Sud dell'Ucraina volevo salvarmi. Oggi mi sono innamorata di un napoletano, si chiama Ciro. Insieme siamo andati a prendere mia figlia Eva, che ha 12 anni». Abitano dalle parti di Aversa, e con loro c'è anche la figlia di Ciro, una bambina brasiliana. Integrazione multietinca. 

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Anche le ragioni di chi riparte sono tante: desiderio di aiutare il proprio Paese, voglia di ricongiungersi con i cari, difficoltà economiche. Alexander e Oleg, per esempio, appartengono alla prima schiera. Sono partiti l'anno scorso verso l'Ucraina, «a ridosso dell'invasione - ricorda Oksana - Erano entrambi sulla quarantina, e qui a Napoli lavoravano nell'edilizia, erano perfettamente integrati ma hanno sentito la necessità di difendere l'Ucraina». Sono andate via, ma per altri motivi, Irene (72 anni), sua figlia Irene (46 anni) e sua nipote Karina (25 anni). «Hanno trovato difficoltà col lavoro e non era facile riuscire a farsi assumere - conclude Oksana - perché non conoscevano la lingua. Sono arrivate ad agosto e sono andate via a fine novembre in direzione Polonia. Non per tutti è possibile reinventarsi. Tante madri, inoltre, sono tornate in Ucraina perché i mariti soffrono la solitudine». Migliaia le storie che si sono incrociate negli ultimi 12 mesi e che continueranno a incrociarsi fino alla fine del conflitto. Marina, per esempio, ha 34 anni ed è arrivata con due figli, Maxime e Mariana (di 9 e 12 anni). «È stata operata di tumore al Pascale - racconta la mediatrice Lara Levchun - l'operazione è andata bene e ora è sotto chemio. I figli vanno a scuola nella zona di Afragola. Ad aiutarli c'è la madre, che si chiama Tania e lavora come badante. Lilia 34 anni è ospitata in una chiesa dei Colli Aminei, ha tre figli piccoli, che vanno a scuola. Vivono in una stanzetta tutti insieme. Non riesce a trovare lavoro». In ogni caso, la solidarietà ritorna, a un anno dal conflitto. Il 25 febbraio la Rete per la pace-Scampia ha organizzato una manifestazione «apartitica e senza bandiere nazionali», per il disarmo alle 10.30. Il punto di partenza sarà il piazzale della Vela celeste, prima del corteo verso il Giardino dei Cinque Continenti e della Non Violenza. 

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