Parlano sia del bene sia del male, le storie degli ucraini raccontate a un anno di distanza dall'esodo che ha portato in città migliaia di cittadini in fuga dall'orrore delle bombe. Il primo anniversario della guerra incrocia destini felici e no, vicende di integrazione e piccole grandi odissee. C'è chi è rimasto e c'è chi è tornato sui suoi passi, chi lavora o va a scuola e chi, invece, non è uscito dalle difficoltà. Non è facile dare numeri precisi, ma di certo tanti profughi sono andati via. «Su 10 ucraini arrivati nei primi mesi della guerra, solo la metà è rimasta a Napoli - stima Oksana Olymik, una delle volontarie e mediatrici culturali più attive in centro storico - Quando si è liberata Kiev e la zona è tornata vivibile tanti sono tornati lì. Altri sono andati via per ragioni economiche verso Germania, Svizzera, Polonia o anche Canada. In Ucraina sono tornati più o meno in 2 su 10». Estetisti, camerieri, badanti, operai: ecco i lavori più diffusi degli ex profughi. Ma anche artigiani. A dimostrarlo c'è la sfilata di Carnevale al Vomero di tre giorni fa - nata da un'idea dell'artista Yana Koslovska in fuga da Kiev e organizzata da Dateci le ali e Iocisto col supporto della V Municipalità - che ha unito ucraini e napoletani e ha messo in vetrina carri e costumi in maschera a tema napoletanità. Tante storie, un solo mantra: «Ricordiamo il gelo della fuga ma anche il calore dell'accoglienza a Napoli».
Il lieto fine è arrivato, ma non tutto è stato facile per Valery, o «Valentino, come ora mi chiamano tutti», sorride mentre lavora in un ristorante del Vomero.
Anche le ragioni di chi riparte sono tante: desiderio di aiutare il proprio Paese, voglia di ricongiungersi con i cari, difficoltà economiche. Alexander e Oleg, per esempio, appartengono alla prima schiera. Sono partiti l'anno scorso verso l'Ucraina, «a ridosso dell'invasione - ricorda Oksana - Erano entrambi sulla quarantina, e qui a Napoli lavoravano nell'edilizia, erano perfettamente integrati ma hanno sentito la necessità di difendere l'Ucraina». Sono andate via, ma per altri motivi, Irene (72 anni), sua figlia Irene (46 anni) e sua nipote Karina (25 anni). «Hanno trovato difficoltà col lavoro e non era facile riuscire a farsi assumere - conclude Oksana - perché non conoscevano la lingua. Sono arrivate ad agosto e sono andate via a fine novembre in direzione Polonia. Non per tutti è possibile reinventarsi. Tante madri, inoltre, sono tornate in Ucraina perché i mariti soffrono la solitudine». Migliaia le storie che si sono incrociate negli ultimi 12 mesi e che continueranno a incrociarsi fino alla fine del conflitto. Marina, per esempio, ha 34 anni ed è arrivata con due figli, Maxime e Mariana (di 9 e 12 anni). «È stata operata di tumore al Pascale - racconta la mediatrice Lara Levchun - l'operazione è andata bene e ora è sotto chemio. I figli vanno a scuola nella zona di Afragola. Ad aiutarli c'è la madre, che si chiama Tania e lavora come badante. Lilia 34 anni è ospitata in una chiesa dei Colli Aminei, ha tre figli piccoli, che vanno a scuola. Vivono in una stanzetta tutti insieme. Non riesce a trovare lavoro». In ogni caso, la solidarietà ritorna, a un anno dal conflitto. Il 25 febbraio la Rete per la pace-Scampia ha organizzato una manifestazione «apartitica e senza bandiere nazionali», per il disarmo alle 10.30. Il punto di partenza sarà il piazzale della Vela celeste, prima del corteo verso il Giardino dei Cinque Continenti e della Non Violenza.