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Ascarelli, quando in 7 mesi nacque lo stadio a Napoli

Il profilo del primo patron azzurro

La mostra su Ascarelli
La mostra su Ascarelli
di Gigi Di Fiore
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 3 Giugno 2023, 08:31
4 Minuti di Lettura

Non aveva bisogno di annunci. Giorgio Ascarelli, presidente dell'Associazione Calcio Napoli, agiva. Il calcio, in quel 1929, era diventato con il fascismo uno sport per professionisti, con tanti spettatori. E il Napoli, al via di un ciclo vincente con l'allenatore inglese William Garbutt e stelle in squadra come Sallustro e Vojak, aveva bisogno di un campo stabile. Paradossale che, per le gare casalinghe, si dovesse chiedere il permesso alle autorità militari proprietarie dell'«Albricci» all'Arenaccia. Per guardare al futuro, era indispensabile uno stadio da gestire in proprio. E Ascarelli, primo grande presidente della storia azzurra, ci pensò.

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Figlio di Salomone Pacifico Ascarelli, Giorgio ne aveva ereditato l'azienda tessile a Napoli dove la famiglia, di fede ebraica, si era trasferita da Roma. Salomone Pacifico era stato fornitore del papa, facendo fortuna. A Napoli, l'azienda invia Stella Polare 104 aveva 300 dipendenti e una filiale a Busto Arsizio. Socio Rotary, amante del canottaggio e della musica napoletana, socio del circolo nautico Real Canottieri Italia di cui finanziò la sede, Ascarelli era assai noto in città. Amante e collezionista d'arte, per hobby dipingeva. Viveva in una villa in via Posillipo 169, chiamata Bice come la moglie. I rami della famiglia Ascarelli e Del Monte, nati dai due matrimoni di Salomone Pacifico, erano entrambi impegnati nell'azienda. Ragioniere era Gigi Del Monte, poi morto ad Auschwitz a 46 anni, che si era avvicinato al calcio prima dello zio Giorgio. Il nuovo sport attirò Giorgio Ascarelli, che divenne presidente dell'Internaples finanziata con amici e soci dei circoli nautici. Nel 1926, l'Internaples divenne Associazione calcio Napoli, eliminando il nome straniero come voleva il fascismo. Il calcio, fino ad allora zeppo di termini inglesi, si italianizzò. Ma quando nel 1929 Ascarelli ingaggiò l'allenatore inglese Garbutt, ex calciatore dell'Arsenal e vincitore di ben tre campionati con il Genoa, nessuno mise in discussione la sua pretesa di farsi chiamare mister. Iniziò un ciclo che portò alla conquista di due terze posizioni in campionato. Ma la ciliegina fu lo stadio.

L'area scelta fu il Rione Luzzatti, quello reso famoso da Elena Ferrante. Non si fece spaventare, Ascarelli, dalle diffide della duchessa di Miranda che si lamentò con il prefetto Giuseppe Barattolo dell'occupazione di una parte della proprietà della madre marchesa Maria de' Medici per la costruzione di un campo sportivo. Sanate le concessioni, Ascarelli incaricò l'ingegnere Amedeo D'Albora di progettare l'impianto. Fu pronto in sette mesi. Tribune in legno, capienza per 20mila spettatori, nome iconografico: «stadio Vesuvio». La partita inaugurale fu il 23 febbraio 1930. Napoli contro la Juventus del presidente Andrea Agnelli. Pienone. Ascarelli, emozionato, vide una parte dell'incontro con la tifoseria più accesa. Finì 2-2, pomeriggio da incorniciare. L'ultima gioia del presidente che morì di peritonite 17 giorni dopo. In suo nome, lo stadio, che era di proprietà del presidente, fu ribattezzato «Vesuvio-Ascarelli». Lo ereditò la moglie che lo donò al Napoli, passato alla presidenza di Giovanni Maresca duca di Serracapriola. Fu creata una società di gestione, la Campo Napoli, che non ebbe vita facile per difficoltà economiche. In crisi, fu affidata al liquidatore Arturo Collana.

E intervenne il Comune che propose l'acquisto dello stadio. I tempi erano favorevoli, grazie all'avvicinarsi dei Mondiali del 1934 da disputare in Italia. Il fascismo voleva che si giocassero anche a Napoli, ma occorreva un impianto pubblico. Il prefetto Barattolo, che era anche alto commissario per le opere pubbliche, favorì l'acquisto del Comune che pagò lo «stadio Vesuvio-Ascarelli» 700mila lire. La Prefettura, che appoggiò l'acquisto, lo motivò come «una delle più importanti iniziative che interessa l'educazione fisica napoletana e il turismo». L'alto commissario si occupò del restyling in vista dei Mondiali: 6 mesi di lavori, 1200 operai, costi di 4 milioni di lire per 40mila posti. Inaugurazione in pompa magna il 27 maggio 1934.

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A Napoli si giocò la finale per il terzo posto Germania-Austria. Lo stadio era diventato una mega-struttura in cemento armato e, ben 4 anni prima delle leggi razziali, il fascismo rimosse il ricordo di Ascarelli per ribattezzarlo «Partenopeo». Era stato lungimirante il presidente Ascarelli, ma di quell'opera è rimasto solo il ricordo: le bombe della seconda guerra mondiale lo resero uno scheletro. Il Napoli avrebbe ricominciato nello stadio del Vomero realizzato dal fascismo. Poi, il San Paolo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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