Napoli, Fiorentino chiude: «Sono pronto a riaprire
ma ho bisogno di aiuto»

Il titolare dell'omonima libreria: chiedo un prestito agevolato

Diego Fiorentino
Diego Fiorentino
di Ugo Cundari
Martedì 10 Ottobre 2023, 09:07
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Diego Fiorentino, 52 anni, si è appena ripreso da una operazione al cuore. Ha dovuto chiudere la libreria di famiglia, in piedi da tre generazioni, e mettere in vendita il negozio, di proprietà. Non nasconde la rabbia ma una speranza c'è ancora. Mentre parliamo al telefono Fiorentino, che ha avuto come zio Tullio Pironti, ogni tanto si interrompe, come se dovesse recuperare la lucidità per non scoppiare in lacrime.

Perché ha deciso di chiudere, Fiorentino?
«Perché sarei dovuto rimanere aperto? Negli ultimi mesi entravano al massimo cinque persone al giorno, e spesso nessuna per comprare. La mia piccola libreria è stata l'ultima a morire in questi giorni, ma presto toccherà ad altri. Alla fine, rimarranno in piedi solo i supermercati del libro.

I piccoli non possono farcela da soli. È vero, ho avuto problemi di salute, ma non è questo il motivo che mi ha portato, tra sofferenze enormi, a chiudere».

E allora perché?
«Troppe tasse, clienti troppo anziani, competizione insostenibile con le grandi catene libraie, edizioni pirata, zona culturalmente desertificata. Basta?».

Che peccato, a pochi anni dal secolo di vita
«C'è tanta amarezza. In questi mesi sono stato molto male, sono arrivato a chiedermi se i professori e gli studenti non entrassero più in libreria perché avevo sbagliato qualcosa, perché mi ero comportato male. E invece, semplicemente, ognuno va dove più gli conviene. Ma forse non è detta l'ultima parola».

C'è ancora speranza?
«È vero, sulla saracinesca della libreria ho affisso il cartello "vendesi", e per farmi tornare sui miei passi mi servirebbero centomila euro subito, però credo ancora nella cultura e non venderò mai a una spritzeria o a una paninoteca. E se ci fossero le condizioni potrei anche valutare l'ipotesi di riprendere l'attività».

Quali condizioni?
«Non voglio lucrare, non voglio elemosine, non voglio vicinanza a chiacchiere. Vorrei un prestito agevolato, o che magari il Comune mi permettesse di aprire altrove in condizioni più sostenibili. Il sindaco Manfredi non dichiara sempre di voler aiutare le librerie? Questa è un'occasione, l'ennesima, per dimostrare che davvero vuole farlo, ma spero che agli inevitabili discorsi di incoraggiamento non seguano zero fatti come nel caso della libreria di zio Tullio, che non è stata salvata e lui ancora aspetta una targa».

L'amministrazione comunale qualcosa ha fatto, ha bloccato il rilascio di nuove licenze per bar e ristoranti nel centro storico.
«E a cosa serve? A non far aprire quelli che vendono i panzarotti, non a evitare la chiusura delle librerie. E poi ci sono troppe bancarelle che vendono a pochi spiccioli edizioni pirata, a cominciare dalla mia raccolta "'A livella". Perché il Comune permette a questi abusivi di vendere? Abusivi che non pagano i diritti d'autore e nemmeno le tasse, loro».

Tra le ragioni della chiusura ha indicato la desertificazione culturale della zona.
«È cambiato tutto qui al centro storico. Una qualsiasi attività della zona, per guadagnare, dovrebbe stare aperta dal tardo pomeriggio a notte fonda, e vendere alcolici e pizzette. Qualcuno dirà che così va il mondo, va bene, ci sta, però poi se i dati sulla lettura continuano a diminuire e aumentano i minori che vanno in giro armati, i politici non hanno il diritto di prendersela con il mondo che va così, perché loro non hanno fatto niente per combattere questa deriva. Aiutare una libreria non significa fare un favore a un privato ma aiutare la comunità».

Lei vendeva anche libri universitari.
«Li ho venduti fino a quando non sono stati sostituiti, non dalle fotocopie, perché gli studenti stanno un passo avanti».

Che significa?
«Mi è capitato spesso che un docente di Architettura, dopo aver adottato un testo, venisse a controllare la sua disponibilità in libreria, e il libro ovviamente c'era. Poi, dopo un paio di ore, vedevo che i ragazzi che seguivano il corso di quel professore si scambiavano la pennetta con il file del testo. Ormai i tipografi disonesti scannerizzano il volume originale e se lo rivendono senza neanche più il fastidio delle fotocopie. Per non parlare del problema degli sconti».

Si spieghi.
«Io piccolo libraio non potrò mai scontare un volume quanto può una libreria di catena o Amazon, e se pure ci arrivo non offro gli stessi vantaggi. Per di più, quando mi è capitata la opportunità di vendere libri pregiati di 240 euro a 200, ed ero l'unico a farlo, i miei clienti non venivano da me, lo acquistavano a prezzo pieno da Feltrinelli, perché non avevo la tessera per i punti. E allora metti questo, più questo più questo, negli ultimi anni la lotta per la sopravvivenza è diventata impossibile».

Possiamo sperare che ci ripensi?
«Ribadisco. Non vendo a pizzaioli e panzarottari, altrimenti negherei la storia mia e della mia famiglia. Ma qualcosa, in città, nel centro storico, deve cambiare, e non posso farlo io da solo. La chiusura della mia libreria può essere un'opportunità per il Comune. Adesso inizia una nuova lotta, e so che mio zio Tullio è con me».

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