Prima al San Carlo, nel palco reale si continua a litigare sul belcanto Unesco

Siparietto tra De Luca e il sottosegretario Mazzi: ognuno difende il suo documento

La Turandot del San Carlo
La Turandot del San Carlo
Maria Pirrodi Maria Pirro
Sabato 9 Dicembre 2023, 23:54 - Ultimo agg. 11 Dicembre, 07:06
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In verde, in rosso. Con le paillette oro e i colori accesi, anti-femminicidio. Più della Scala: il notaio Sergio Cappelli ha una spilla con la scarpetta, stringe un cuore tra le mani con la scritta «Il suo nome è amor» e un’altra è ricamata sul vestito: «Nessuno disturbi la vita», avvisa. Ma al San Carlo lo stile della prima di stagione è diverso da quello di Milano. Meno glamour, meno vip, e alla regia tradizionale e statica di Lluis Pasqual si risponde con una ben più inattesa. Tra versi di Dante e un video girato in città, la nuova « Turandot» subito scatena reazioni in platea, quando un’auto piomba e quasi si schianta sulla scena, e una sala operatoria incombe sul coro, sospesa con fili d’acciaio.

Piace o no, questa versione moderna? Di sicuro, divide e fa discutere. Il quarantenne russo Vasily Barkhatov, al suo esordio in Italia, mette le mani sull’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini proprio mentre il canto lirico italiano viene cristallizzato nel patrimonio Unesco.

 


Giovanna Casolla l’ha cantata per ultima al San Carlo, nel 2002, con una strepitosa regia coloratissima di David Hockney: «Con i bambolotti in sostituzione del coro sul palco», ricorda. «E in tutti i finali possibili e immaginabili. Anche in uno cinese con la regia di Zhang Yimou nella città proibita».

Stavolta è un super «happy end», almeno nelle intenzioni del regista, ma dopo un avvio da incubo metropolitano. «Ma nessuno può cambiare la musica, fortunatamente intoccabile, non so giudicare a caldo se il nuovo allestimento è interessante o meno», aggiunge la soprano, sulla soglia dei 79 anni.


La poltronissima più cara costa 848 euro, il palco reale è sottotono rispetto alle migliori prime sancarliane. Assenti il sindaco Gaetano Manfredi e il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che parla del San Carlo a distanza e continua a polemizzare con il governatore Vincenzo De Luca che lo ha attaccato per aver ignorato il teatro più bello del mondo nel dossier che ha conquistato al belcanto il titolo Unesco di patrimonio immateriale dell’umanità: «Ha studiato poco. Volete vedere le carte? Ovviamente il San Carlo, come ha spiegato il sottosegretario Gianmarco Mazzi, è pienamente inserito nel riconoscimento», dice da Salerno. E Mazzi, in teatro, mostra i fogli stampati per chiudere le polemiche. «È doveroso essere qui all’indomani di un riconoscimento così prestigioso, e nel teatro lirico più antico e ancora in funzione, dove è stato anche Mozart».

Intanto le scintille non sembrano superate nel palco reale. De Luca siede tra due sottosegretari: Mazzi e Pina Castiello, in lungo nero con maniche in pizzo. Il governatore non cede: «A questo punto ci sono due documenti, uno falso. Quello vero è il nostro», rilancia, tornando sulla gestione «a dir poco avventurosa» del teatro negli anni scorsi. 


Nessuno cita più l’ex tormentone del «sovrintendente 1» (Stéphane Lissner) e del sovintendente 2 (Carlo Fuortes) risolto dal tribunale del lavoro che ha riportato il maestro francese alla guida del teatro. «Il ministro mi ha chiamato per spiegare la sua assenza» afferma Lissner che evita altri dissidi, ma rivendica le scelte nella programmazione: «La Turandot con costumi asiatici l’abbiamo vista tutti, e si presta a differenti letture, questa proposta tiene conto del tempo che passa», aggiunge accanto a Luciano Schifone, consigliere di Sangiuliano, elegantissimo in smoking.

Annuisce Emmanuela Spedaliere, direttore generale del San Carlo in velluto nero, che sostiene il cambiamento: «Bellissima, così, l’opera». Salvo Nastasi, ex commissario del San Carlo, la definisce «coraggiosa, in pieno stile lissneriano». L’imprenditrice Stefania Brancaccio, in amaranto collo di volpe e charme: «Anche se dark, la Turandot resta una favola bellissima, una donna non può vivere senza amore». «Io sono per la tradizione», ragiona l’avvocato Rossella Ferraro, di ritorno dalla Scala.


«Ai conservatori non piace un allestimento moderno, ma siamo qui per recepire le innovazioni e nuove emozioni», dice l’avvocato Paolo Trapanese. «Ho partecipato alla costruzione delle scene, speriamo che il teatro si apra sempre più all’innovazione», aggiunge l’imprenditrice Paola Maione.


Al di là dei simboli che rimandano alla povera Giulia Cecchettin, non mancano il plissé di velluto, i corpini di paillettes, i ricami, la seta, il tulle, le pellicce di visone, le scollature vertiginose e gli orecchini-lampadario con qualche stravaganza, come uno spettatore senza cravatta nè calzini.


C’è l’ex sindaco Antonio Bassolino con la moglie Annamaria Carloni («Sì all’innovazione, ma poi dipende»). E il procuratore nazionale antimafia  GiovanniMelillo, il presidente del tribunale di Napoli Elisabetta Garzo, con la borsa rossa. Luminosissima Simona Capasso Genna. Cristina Donadio ragiona: «Viva il tradimento della convenzione, se dentro c’è il cuore». Per Maurizio Pietrantonio, presidente della Fondazione Ravello «tutte le forme d’arte subiscono una evoluzione: è comprensibile che ci sia anche nella lirica». «Ben vengano i rimodernamenti se possono portare i giovani nel tempio della musica», dice l’abbonato Giorgio Nocerino.

Unico componente del consiglio di amministrazione della fondazione lirica presente Mariano Bruno, con la moglie Adele Pignata. Tra i volti noti Lucia Annunziata, la decana Anna Barba, Mariella Pandolfi, il presidente Fai Michele Pontecorvo, i rettori Lucio d’Alessandro e Giovanni Francesco Nicoletti, l’ex rettore Guido Trombetti, i galleristi Alfonso Artiaco e Laura Trisorio, Teresa e Totó Naldi, la stilista Roberta Bacarelli, Gianfranco D’Amato, Maurizio Maddaloni, Anna Sommella, Marco Zigon, Ciro Verdoliva e consorte con stola rossa, Mario Rusciano, Fulvio Martusciello, Riccardo Villari, Riccardo Monti, Carlo Cangiano, i medici Nicola Mozzillo con Donella Mozzillo e Franco Corcione con il papillon, come Mino Cucciniello, beato tra le donne nei selfie.

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