Alessia, Fatima e gli altri: così Bergoglio incontra il mondo della sofferenza

Alessia, Fatima e gli altri: così Bergoglio incontra il mondo della sofferenza
di Donatella Trotta
Lunedì 23 Marzo 2015, 00:34
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Isabelle Alessandra è una bimba bellissima, paffuta e quieta vestita di bianco e di rosa. Una bambola dai grandi occhi, accoccolata nelle braccia del papà Ivano, che la stringe con particolare amore mentre attende Papa Francesco nella chiesa del Gesù Nuovo, per l’incontro a porte chiuse con «la sofferenza umana»: ammalati e disabili di tutte le età, provenienti da tutti gli ospedali di Napoli.



Mentre fuori, nella piazza del Gesù transennata, una delegazione silenziosa e composta di migranti dell’Associazione 3 Febbraio con i loro cartelli («Non siamo schiavi. Siamo esseri umani per la pace contro razzismo e terrorismo») aspetta il Papa per consegnargli una lettera-appello sulla condizione di schiavitù di molti lavoratori bengalesi, i malati, dentro, attendono emozionati il Pontefice per un incontro atteso e speciale, off limits per la stampa, al quale «Il Mattino» riesce ad assistere. Per raccontare ai suoi lettori, con rispetto, i momenti più toccanti della quinta tappa di Papa Francesco a Napoli: l’incontro con la sofferenza umana. Di uomini, donne, bambini. La frontiera più difficile, per decifrare quello che il Pontefice chiamerà più tardi, incontrando i giovani e gli anziani alla Rotonda Diaz, «il silenzio di Dio». Non a caso, quello nella monumentale chiesa del Gesù Nuovo è l’unico appuntamento di questa visita pastorale di cui non sono state trasmesse immagini.



A otto mesi e mezzo, la piccola Isabelle Alessandra è (con la neonata Elena Sofia, 5 mesi, ”mascotte“ dei volontari dell’Amami, l’Associazione Mariana assistenza malati d’Italia) una delle più giovani e ignare rappresentanti di questo esercito silenzioso. Che da ore affolla paziente la parrocchia più grande di Napoli: il suo secondo nome è quello della mamma, morta a 35 anni di parto in una clinica partenopea. «È nata svantaggiata da questa perdita, perciò sono qui - dice il padre con le lacrime agli occhi -. Scrissi a Papa Francesco per battezzarla, ora vorrei solo una sua benedizione per proteggerla». Come un altro piccolino, Francesco Pio, 10 mesi di vita e dializzato dalla nascita, che, dopo aver ricevuto in giornata il battesimo, attende ora la carezza del Pontefice della misericordia. O come la bionda Alessia, 9 anni e una grande generosità, espressa nella lettera-preghiera per tutto il mondo che ha preparato per il Papa, accanto alla sua esuberante compagna Fatima, 8 anni, e al piccolo Costabile, di sette. Bambini malati ma pieni di entusiasmo e di gioia che dalle loro lettighe di lungodegenti pediatrici, attorniati dalle mamme e dai propri angeli custodi in camici bianchi del Santobono, Pausilypon, Annunziata, ti travolgono con la loro fresca e fiduciosa allegria, e con l’emozione di un momento speciale per il quale hanno preparato, tutti, letterine e preghiere colme di tenerezza.



Quelli che non sono riusciti ad esserci hanno preparato un libro azzurro di disegni colorati e messaggini per il papa, che la direttrice del Santobono Annamaria Minicucci, occhi di cielo che brillano di passione per i piccoli pazienti, mostra con orgoglio quasi materno. «Caro Papa Francesco, prenditi cura di noi bambini», scrive ad esempio un omonimo del Pontefice, 9 anni, in un disegno di arcobaleno su una nave in mare. In prima fila, nella sezione della chiesa riservata ai malati più gravi, c’è anche la piccola Francesca Schiano, 4 anni, sopravvissuta al tragico incidente di due anni fa sul viadotto di Monteforte Irpino con la mamma e il papà, dopo un calvario di interventi: «La nostra vita è già un miracolo, ora mi aspetto che mia figlia migliori», dice la sua mamma coraggio Annalisa Caiazzo, con il marito Gennaro, uscito da due mesi di coma.

Le loro storie si intrecciano alla teologia dei volti dei tanti che nel raccoglimento, con dignità e pudore, aspettano il Papa, in quell’«ospedale da campo» che per 45 minuti è diventata la chiesa del Gesù Nuovo gremita di oltre duemila persone tra ammalati (850, con altrettanti accompagnatori), un centinaio di parrocchiani, 130 tra medici, infermieri e operatori sanitari, volontari dell’Unitalsi, dell’Avo e dell’Amami, associazioni ecclesiali come la Cvx e la Comunità di Sant’Egidio, venti cappellani ospedalieri (tra i quali il direttore della Pastorale sanitaria, don Leonardo Zeccolella, al quale tocca il compito di presentare al Papa il mondo della sofferenza) e 40 gesuiti della vicina residenza, con il loro parroco Vincenzo Sibilio.



Ai primi banchi di fronte all’altare, tra gli altri, anche il dg dell’Asl Na1 Ernesto Esposito, la senologa Imma Capasso responsabile dell’Amami presieduta da Filomena Paone e il presidente della Regione Stefano Caldoro. E quando finalmente Papa Francesco arriva, puntuale alle 16,15, è un boato di applausi ad accoglierlo. Il pontefice si ferma dapprima qualche minuto in preghiera davanti all’urna con le spoglie di San Giuseppe Moscati, il medico santo dei poveri, poi inizia a stringere mani e benedire uno per uno i malati, a baciare i bambini, in un primo giro di saluti che sarà replicato alla fine del suo discorso, per tentare di non deludere nessuno. Missione pressoché impossibile: troppo poco il tempo, troppe le persone e le aspettative di tanti di una carezza di refrigerio alla propria condizione. Il Papa appare molto provato, stanco della densa giornata non ancora finita e iniziata prestissimo, con il volo in elicottero da Roma a Pompei, poi con l’ingresso a Napoli nel bagno di folla di Scampia, la celebrazione eucaristica in piazza del Plebiscito davanti a sessantamila fedeli, quindi il pranzo con i detenuti a Poggioreale, e ancora l’incontro alle 15 con il clero in Cattedrale, dove avviene il prodigio della liquefazione del sangue di San Gennaro.



Un turbine di emozioni, situazioni, messaggi forti che il Papa vive e trasmette, senza risparmiarsi.

Ora, alla sua penultima tappa del suo primo pellegrinaggio napoletano sulla via delle opere di misericordia - a Giubileo straordinario da poco proclamato - Francesco raggiunge a fatica l’altare, si siede accanto al cardinale Sepe per un momento di tregua. Per un attimo, rischia anche di inciampare mentre sale al suo posto. Ascolta la breve presentazione di don Leonardo Zeccolella, responsabile per la Curia con monsignor Nicola Longobardi dell’appuntamento con i sofferenti. Poi si alza in piedi, avvicinandosi al microfono: «Non è facile andare dagli ammalati, perché le cose più belle e importanti della vita si nascondono, per pudore» esordisce a voce bassa in un silenzio irreale costellato di occhi lucidi. Quasi sussurrando, Francesco parla del «mistero della malattia», con il suo carico di sofferenza fisica ma anche con la «forza trasformante dello spirito di fede per accoglierla». Paragona i malati alla «carne di Cristo crocifisso», e per questo «molto più vicini a Lui di altri», e li ringrazia. Come ringrazia, di seguito, «i volontari che spendono il proprio tempo carezzando la carne di Cristo, servendo il Cristo crocifisso vivo», e i medici e gli infermieri «per il lavoro che svolgono e per non fare della propria professione un affare, servendo gli altri senza arricchirsene, sull’esempio del Santo Moscati che qui ha lavorato».



E ai «cristiani di questa diocesi», infine, Bergoglio chiede di non dimenticare mai ciò che è stato scritto «sul ”protocollo“ - ironizza - in base al quale saremo giudicati: sono stato malato e non mi siete venuti a trovare». «Non abbiate paura - conclude - di avvicinarvi ai malati, trovate sempre l’energia e la perseveranza di carezzare la carne sofferente di Cristo». Un lungo applauso accompagna le sue parole sull’umanizzazione della medicina, sul richiamo per tutti alla parabola del buon Samaritano. Aldo Bova, presidente dei medici cattolici, commenta: «Le parole del Papa ci spronano a migliorare l’assistenza sociosanitaria, in particolare nei confronti dei più fragili e dei più deboli, in un contesto spesso non facile come quello campano». Gli fa eco Antonio Salvio, presidente nazionale della Cvx e della Lega Missionaria Studenti, oltre che medico della Residenza gesuitica: «Sono qui per riconoscenza alle parole incoraggianti del Santo Padre, vicino al mondo della sofferenza, ma anche nella mia veste di medico internista epatologo, abituato ad accompagnare i pazienti nel loro cammino terapeutico». Aggiunge Salvatore Caso, segretario della Cvx: «Le parole del Papa sono forti perché donano sostegno spirituale a chi oggi è qui non tanto per cercare miracoli, quanto per trovare il senso della propria sofferenza».



Lo conferma Silvana, moglie di Peppino, magistrato costretto dalla sua malattia su una sedia a rotelle: «Vedere questo Papa da vicino è già un conforto: essere qui in tanti, uniti nel dolore e nella speranza, ci aiuta a far sentire più forte la nostra voce, e a capire meglio il perché del silenzio di Dio». Paola Capezzuto, consigliera Unitalsi, incalza: «Bergoglio ha una particolare fratellanza con chi soffre». Accanto a lei Francesco Lapalombara parafrasa Santa Bernadette: «Qui, oggi, abbiamo gustato un pezzetto di cielo sulla terra». In sacrestia, c’è tempo per un sorriso a stemperare la tensione emotiva: padre Vincenzo Sibilio racconta al confratello gesuita pontefice che qualcuno aveva pensato di vendere biglietti falsi per l’ingresso in chiesa, truffa poi denunciata dallo stesso sacerdote. E Bergoglio, dopo aver ricevuto i doni di due preziose reliquie, ironizza: «Dalla Scolastica ad oggi, sempre i Gesuiti...».



Alle 16,45 il Papa si gira verso il Tabernacolo e l’immagine della Madonna sull’altare e, spalle all’assemblea, recita un’Ave Maria corale. Saluta tutti, raccomandando: «Per favore, pregate per me». Poi, cerca di guadagnare l’uscita non senza completare il suo giro tra i malati, assediato da decine di mani che si protendono verso di lui mentre la gendarmeria svizzera tenta di fargli da scudo. Sono le cinque del pomeriggio. Francesco è atteso alla Rotonda Diaz per l’ultima tappa del suo viaggio nella città così «difficile, e però mai triste».

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