“La vita di lunedì. Di sogni e altre quisquiglie”, Francesca Vitelli e il dialogo per una voce

Mercoledì alle 18 la presentazione al Bistrot & caffè letterario “Il tempo del vino e delle rose”

“La vita di lunedì. Di sogni e altre quisquiglie”
“La vita di lunedì. Di sogni e altre quisquiglie”
di Giovanni Chianelli
Martedì 13 Dicembre 2022, 17:56
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In una delle sue declinazioni di senso la preposizione “di” deriva dal “de” latino. Indica il complemento di argomento, ovvero introduce un tema di cui si parlerà. Leggendo l’indice del libro “La vita di lunedì. Di sogni e altre quisquiglie” (edito da ilmondodisuk) di Francesca Vitelli, che viene presentato mercoledì 14 dicembre alle 18 al Bistrot & caffè letterario “Il tempo del vino e delle rose” in piazza Dante - ne parlano l’editrice Donatella Gallone e l’imprenditore Vincenzo Sammarruco, letture di Gino Curcione - si nota che ogni paragrafo inizia così, col “di” o col “de”. “Di vacanze, automobili e acchiappanze”, “Della cazzimma e di altre quisquiglie”, “Di santi e supereroi” e così via, per 17 volte. In pratica è un volume di tematiche, le più varie, con in comune Napoli e due voci a dialogare. In realtà una sola, quella di Vincenzo: parla col suo doppio Vincenzino, il sé stesso giovane. L’espediente ideato dall'autrice mette in risalto il dualismo tra età anagrafica e quella del cuore di un individuo nato negli anni ’40 ai Quartieri spagnoli e diventato imprenditore di successo. Si guarda dentro, Vincenzo, e a volte è lui a guidare il gioco dall’alto della saggezza, altre è il piccolo a farlo, forte della purezza, della lucidità e della contemporaneità (letteraria ma viva) con gli avvenimenti trascorsi.

Ad esempio, parlano del famoso mare che non bagna Napoli come ci ha insegnato Anna Maria Ortese.

E subito si sente la differenza tra il bambino che sostiene esserci, in città, “qualche posticino dove farsi il bagno”, perché 80 anni fa era ancora possibile, e l'anziano che questo privilegio non lo ha più: «Se sei nato vicino al mare non puoi starci lontano, hai bisogno di respirarlo, annusarlo e berlo, assaporandone il gusto salato, ci sono città di mare dove tutti i giorni puoi andare in spiaggia o sugli scogli e viverci, qua abbiamo fatto la fine dei gabbiani». Giustamente il piccolo, immerso in un tempo lontano, si chiede che fine abbiano fatto, i gabbiani. Spiega Vincenzo: «Quando eravamo bambini questi uccelli grandi li vedevamo solo in lontananza perché vivevano al porto, quello era il loro regno (…) adesso non trovano più niente, dove prima brulicava il loro mondo c’è una distesa assolata e priva di sostentamento, per sfamarsi si spingono nei quartieri della città, tra le strade a mangiare dai sacchetti della monezza, c’hanno una faccia disperata e stranita. Prima mi facevano solo tristezza. Adesso spavento, perché guardo le facce loro e mi pare che le nostre c’assomigliano sempre di più». 

E su questa falsariga si snoda il colloquio, non sempre disteso, ma puntualmente vivace, tra le due anime.
Parlano di tutto, di femminielli e della trasformazione di alcune zone di Napoli, dei profumi di negozi partenopei cancellati dalla globalizzazione e dei miti di una città che si può eternamente raccontare. Poi vanno altrove, tra i viaggi a Cattolica per vacanza e quelli a Parigi per lavoro, le gite con amici nella Dyane rossa decappottabile e il programma televisivo “Non è mai troppo tardi” condotto dal maestro Alberto Manzi. Le incursioni non risparmiano riflessioni sui diritti, riletti con la classica bonomia napoletana. Vincenzino si chiede “ma se Omero lo schifava a Ulisse, perché ha scritto tutta quella roba?” E Vincenzo gli dice: «Perché allora, come adesso, la società è maschilista e per raccontare le donne bisognava mettere al centro un uomo anche se, poi, sono loro, le donne, le vere protagoniste: intelligenti, coraggiose, tenaci e capaci di vivere le passioni fino a morirne”. La conclusione di Vincenzino: “Questa cosa che le donne sono il sesso debole me pare ’na strunzata».

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