Il volo Ryanair FR 01832 da Londra Stansted atterra a Capodichino con 25 minuti di ritardo. Anzi, con due mesi e 25 minuti di ritardo, perché da circa otto settimane il Regno Unito aveva sospeso i collegamenti aerei, e molti italiani sono stati costretti a rimanere Oltremanica ben più di quanto avessero programmato. Nel primo giorno in cui si torna a viaggiare dall’Inghilterra all’Italia, a Capodichino si respira aria di attesa e anche di una certa emozione. L’atterraggio è programmato per le 10,35, e già poco dopo le dieci si capisce che le persone in attesa al gate degli arrivi sono qui proprio per il volo proveniente da Londra, e la conferma arriva dai mugugni che si sentono quando sul tabellone viene annunciato il ritardo. Intorno alle 11,30 ecco sbucare i primi passeggeri. Qualcuno sembra avere davvero l’espressione di chi si sente finalmente libero dopo una prigionia. Ma la gioia dell’incontro con i parenti prende il sopravvento su tutto. L’abbraccio tra un uomo di circa quarant’anni e la sua anziana madre, venuta all’aeroporto per incontrarlo subito, è pieno di commozione. Piangono, e restano stretti per un tempo che sembra infinito. Mano a mano escono tutti gli altri passeggeri. Ci sono anche alcuni che non parlano in italiano, probabilmente sono turisti e vanno veloci verso i taxi.
Si ferma invece a raccontare la sua storia Antonio, cinquant’anni, da ventisette a Londra, dove lavora in ospedale. È uno dei primi italiani andato a fare l’infermiere in Inghilterra, come poi tanti, prima della Brexit. «Purtroppo non torno per godermi la Pasqua con i parenti ma perché mia madre non sta bene. È anziana e io sono l’unico figlio, ha bisogno di me e non ripartirò finché non si sarà rimessa. Questa pandemia purtroppo ci sta rendendo ogni cosa difficile. Io lo so bene perché sono stato a contatto diretto con il Covid, l’ho visto in ospedale e ho visto le persone morire. A marzo scorso sono stato anche contagiato. Ora però ho fatto il vaccino, il Pfizer, prima e seconda dose. Per partire, però, ho dovuto comunque sottopormi al tampone. Cento sterline ho speso. Ma sono benedette se finalmente mi hanno consentito di tornare a Napoli e di stare accanto a mia madre». Laura, invece, ha da raccontare un episodio di quelli che qui chiameremmo di malasanità e che, attraverso la sua testimonianza, scopriamo che possono accadere anche in una grande capitale europea. «Sono stata tre mesi a casa del mio ragazzo, ho lavorato da lì in smart working e ora sono dovuta rientrare perché dovrò lavorare in presenza.
Dal casuale campione composto dai primi napoletani di ritorno da Londra, si scopre anche che nel Regno Unito l’uso di AstraZeneca non è stato totale. Così come l’infermiere Antonio, anche una sua collega, Loredana, che vive e lavora a Londra da sei anni, riferisce di essere stata vaccinata con Pfizer. Però la sua opinione sull’affidabilità del vaccino che nei giorni scorsi ha richiesto una ulteriore pronuncia dell’Ema, è in linea con quella prevalente in Inghilterra. «Le polemiche che si sono sollevate su AstraZeneca le definirei semplicemente cavolate. È stato creato un allarmismo inutile che non ha fatto bene assolutamente a niente e a nessuno». Invece Adriana, che pure sta a Londra da sei anni, non la pensa allo stesso modo: «Io credo che tutti dovremmo avere il diritto di scegliere quale vaccino ricevere. Come fanno a Dubai: quattro vaccini, quattro opzioni, e ognuno decide, ovviamente in accordo con il medico». Lei comunque non è ancora vaccinata: «Perché ho avuto il Covid e non posso farlo ancora».
Altri, tra i passeggeri del volo da Stansted, non sono stati ancora vaccinati per questioni di età. Sono ovviamente i più giovani. Come Luigi, che era arrivato a Londra nel luglio scorso con un contratto di lavoro temporaneo e la speranza che diventasse definitivo. «Invece è scaduto e non mi è rimasto altro che tornare», spiega non nascondendo un certo dispiacere. E come Francesco, che vive da cinque anni in Inghilterra ed è dovuto tornare per una emergenza familiare. Anche delusioni e preoccupazioni, dunque, tra i napoletani rientrati. Ma per qualcuno il ritorno ha un motivo di grandissima gioia. Sicuramente per Alberto: «Lavoro lì come ingegnere e sono tornato perché tra pochi giorni mi sposo».