De Simone: «Ecco il mio samba per Papa Francesco»

di Donatella Longobardi
Mercoledì 11 Marzo 2015, 23:41 - Ultimo agg. 23:42
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Il «samba de roda» è una forma d’arte popolare a metà tra musica, poesia e danza attiva in Brasile soprattutto nella zona di Bahia. Si chiama così perché i partecipanti si dispongono in cerchio. E viene spesso rappresentata nelle feste religiose. Non è un caso se Roberto De Simone abbia scelto questo genere per il suo componimento in omaggio a Papa Francesco che il 21 arriva a Napoli, contaminando gli elementi latinoamericani con la tradizione partenopea. Si potrà leggere in anteprima, questo samba che comincia così: «Napule nun è.../ nu Papa che nun balla/ cu 'o sole e co la luna,/cu tutte le creature/che 'o Signore criò», nel libro-quaderno di 64 pagine che «Il Mattino» ha dedicato alla visita del Papa e che distribuirà gratis in edicola sabato con il quotidiano.

«Ma il Samba de roda è anche un modello di libertà espressiva», spiega il musicologo che ha coinvolto nel progetto Chico Buarque De Hollanda, disponibile a tradurre in portoghese il brano di cui è prevista anche una versione in spagnolo «per farla meglio comprendere a Bergoglio». L’obiettivo è però realizzare un cd con il brano di cui De Simone ha approntato lo spartito con Antonello Paliotti, tra i protagonisti della registrazione che dovrebbe essere affidata alla voce di Isa Danieli affiancata da Raffaello Converso, Franco Castiglia e Biagio Abenante e a un gruppo di percussionisti. «Dovrebbe essere un’esecuzione in ricordo dell’evento, realizzata come testimonianza della visita, naturalmente da distribuire gratuitamente».

Maestro, quindi il suo non è un semplice componimento?

«Affatto. Dietro c’è tutto un lavoro e uno studio, mi sembrava logico dovendolo associare a Papa Francesco che abbiamo l’onore di ospitare per la prima volta nella nostra città. Il mio timore era di cadere in una celebrazione puramente encomiastica e convenzionalmente banale».

Invece l’idea è stata geniale.

«Volevo qualcosa che potesse contaminare la nostra tradizione con quelle dell’America Latina, la terra da cui arriva il Pontefice. Così ho pensato a questo canto popolare in dialetto napoletano associato a questa forma di samba che ben conoscevo attraverso le performance di Dona Selma e alla tradizione di Bahia».

Nelle sue operazioni culturali lei ha sempre messo in evidenza le nostre radici popolari.

«E qui facciamo riferimento alle villanelle cinquecentesche e anche alle canzoni dell’Ottocento e a certe forme poetiche tipiche dell’epoca barocca».

I suoi versi?

«Ho utilizzato la forma settenaria e gli endecasillabi e i quinatri escludendo gli ottonari, con molta libertà».

E il tema?

«Ho voluto raccontare al Pontefice ciò che Napoli non è, lontano dalle celebrazioni o dai piagnisdei. E ho tenuto presente una forma quasi religiosa partendo da una citazione delle Laudi di San Francesco fino alla tradizione popolare delle nostre zone, quindi la Madonna dell’Arco, di cui proprio in questi giorni vicini alla Pasqua si ripete il rito, fino alla devozione per la Vergine di Guadalupe».

Ci sono però, molti cenni ai drammatici accadimenti dei nostri giorni.

«Sì ma senza un intento autocommiserativo. Ho inserito elementi del nostro malessere recente: le morti bianche, gli innocenti sparati per strada, l’avvelenamento delle campagne e le discariche abusive. E ho tracciato paralleli tra Forcella e Caminito, quartiere di Buenos Aires, Scampia e Bahia, le favelas e le nostre periferie degradate in cui è attiva la malavita».